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29 Gennaio 2024

I colori brillano per sempre

La vita e la carriera di Daniele Tamagni sono state brevi, ma di lui sono rimaste tante cose: le immagini dei suoi dandy africani elegantissimi in mezzo alla polvere, la memoria che suo padre Giordano porta avanti e la sua idea che la strada è il palcoscenico della vita, e lì bisogna stare per capire il mondo
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L’immagine che ho negli occhi pensando alla storia che sto per raccontarvi è quella di una stella cadente. Ogni estate scrutiamo il cielo di notte per cercare quelle strisce di luce che ci emozionano e che ci portiamo dentro come amuleto per affrontare il buio dell’inverno. Della stella cadente ricordiamo il bagliore improvviso, la traiettoria luminosa che la rende speciale nonostante duri pochi secondi. Così può essere una vita: per un tempo lungo cerca una propria missione, un senso, una direzione, poi improvvisamente accade qualcosa – di solito è un incontro o un momento di rottura – che l’accende e la fa brillare in modo inatteso e sorprendente.

The Playboys of Bacongo, da Gentlemen of Bacongo, 2008 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni

L’esistenza di Daniele Tamagni, fotografo milanese a cui la sua città dedica una grande mostra a Palazzo Morando (dal 9 febbraio al primo aprile), ha seguito esattamente quella traiettoria: una grande e meravigliosa luce durata troppo poco.

Daniele è stato un ragazzo introverso, fragile, con costanti problemi di salute, che 

aveva studiato tanto – una laurea in Beni Culturali e poi un Master triennale in Storia dell’arte – senza trovare la propria strada. 

Poi aveva scoperto un mondo in cui la strada è il palcoscenico della vita, e quella scintilla aveva acceso i suoi occhi e indicato una direzione. Era successo durante un viaggio a Cuba, quando Daniele aveva 28 anni. 

Era tornato da L’Avana con un bagaglio di foto molto spontanee, piene di vitalità e autenticità. Aveva avuto la sensazione che fotografare potesse essere la sua professione, ma ci sarebbero voluti altri quattro anni e una serie di incontri impensati per fare sì che ciò accadesse. 

Nel 2007, quando aveva appena compiuto 32 anni, decise di partire per l’Africa per andare a trovare una ragazza congolese che aveva conosciuto su Internet e che studiava in Benin. Sulla costa atlantica di quel Paese, da cui partivano le navi che portavano gli schiavi nelle Americhe, era stato affascinato dai riti e dalle tradizioni. Aveva cominciato un viaggio in un Continente che non immaginava, guardandolo con occhi aperti e curiosi, senza pregiudizi e senza stereotipi.

Si era innamorato della ragazza, che si chiama Baniel, e l’aveva seguita in Congo. E lì, a Brazzaville, aveva scoperto i “sapeurs”, dei dandy che si vestono con abiti europei ma dai colori originali e sgargianti. Aveva cominciato a seguirli e a ritrarli, affascinato dal contrasto tra la loro eleganza raffinata, i loro vestiti perfettamente stirati, le camicie inamidate e la polvere delle strade e il caos che li circonda. 

Willy Covary, da Gentlemen of Bacongo, 2008 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni 

Quelle foto avrebbero cambiato la sua vita, il simbolo di questa svolta era Willy, l’uomo vestito di rosa, con il sigaro in bocca, e con le scarpe e il cappello dello stesso colore che cammina in mezzo alla strada. Quel racconto vincerà il premio Canon per i giovani fotografi e farà il giro del mondo, regalandogli una fama improvvisa. Uno dei primi ad accorgersi di lui era stato Nino Romeo, curatore del reparto fotografia della più completa libreria milanese, la Hoepli, che aveva cominciato a esporre le sue foto tra gli scaffali. Ma in pochissimo tempo gli scatti di Daniele verranno pubblicati dal Guardian al New York Times, dal Washington Post a El Pais fino alle riviste di moda e diventeranno il libro “Gentlemen of Bacongo” con prefazione dello stilista Paul Smith. 

A quel primo viaggio africano ne seguiranno altri, non solo in Congo, ma in Sudafrica, Senegal, Kenya e Botswana e dalla storia con Baniel nascerà un figlio che oggi ha quindici anni.

Nel 2009, dopo due soli anni da quella serie di scatti visionari, Daniele ricevette un invito ad andare a New York ad una premiazione, pensò fosse uno scherzo invece era tutto vero: si trattava dell’Infinity Award che viene conferito dall’International Center of Photography, e che nella storia era stato assegnato soltanto a tre italiani, Letizia Battaglia, Oliviero Toscani e Alex Majoli. Quel premio lo trasformerà in un vero professionista, aprendogli anche il mercato dei collezionisti e delle gallerie d’arte e permettendogli di lavorare liberamente ai suoi progetti.

Si dedicò così alla Bolivia del neo presidente Evo Morales, mettendo al centro della sua indagine le “Cholitas volanti”, un gruppo di lottatrici che salgono sul ring in abiti tradizionali, un lavoro che lo portò a vincere il World Press Photo.

Carmen Rosa flying, from The Flying Cholitas, 2010 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni
Untitled, from Kami, 2010 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni

Quel ragazzo silenzioso e introverso aveva trovato la sua cifra: il colore. Colori gioiosi e sgargianti. I suoi lavori, anche quelli commerciali, erano sempre pieni di vita, di famiglie, di feste. Si definiva un “fotografo di strada”, un indagatore di comunità urbane, di città africane e sudamericane, un collezionista di sorrisi. Andava a scoprire persone che, attraverso i loro gesti e i loro abiti, trovano una loro identità forte anche in situazioni di emarginazione e povertà. 

Quel viaggio pieno di luce ebbe, però, la traiettoria della stella cadente: durò nel suo massimo splendore solo sei anni. Nel 2014 Daniele scoprì di essere malato, una leucemia complicatissima. Seguirono quattro anni di terapie, il trapianto del midollo e le trasfusioni, ma il 23 dicembre del 2017 morì.

Ha lottato fino all’ultimo: «Aveva una voglia di vivere pazzesca – mi racconta suo padre Giordano – e mi ripeteva: “Non voglio arrendermi proprio adesso che ce l’ho fatta, ho un sacco di progetti da portare a termine”».   

Continuò a fotografare e a viaggiare nei momenti in cui le terapie glielo permettevano e, sei mesi prima di morire, inaugurò una bellissima mostra a Roma, alla Galleria del Cembalo a Palazzo Borghese.

Daniele at Westminster University, London, 2006 © Iskander Ziganshin

È stato Giordano a raccontarmi la storia di quel figlio di cui ha preso in mano l’eredità, che oggi possiamo conoscere in un libro e nella mostra antologica milanese, ma soprattutto nell’impegno a «tenere viva la sua luce e le sue idee». Giordano ha creato una partnership con il Market Photo Workshop di Johannesburg (una scuola fondata dal grande fotografo sudafricano David Goldblatt) e finanzia una borsa di studio in memoria di Daniele per permettere ad uno studente di vivere, studiare e frequentare il master per un anno. Lo hanno ottenuto finora una studentessa egiziana, una etiope e uno nigeriano. «Volevo che l’eredità di Daniele non finisse con le sue foto e volevo anche trasmettere il suo sguardo».

Il libro “Style Is Life”, pubblicato da Kehrer Verlag, che raccoglie le foto di Daniele Tamagni. A Daniele è inoltre dedicata la mostra “Daniele Tamagni Style Is Life”, a cura di Aïda Muluneh e Chiara Bardelli Nonino, organizzata dalla Daniele Tamagni Foundation in collaborazione con il Comune di Milano. A Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, dal 9 febbraio al 1 aprile 2024

Con Giordano ho parlato a lungo di suo figlio, della cura con cui ne porta avanti la memoria, e penso che oggi abbia la possibilità di aiutare quel figlio che caparbiamente aveva voluto fare tutto da solo: «Ricordo che ogni volta che partiva per l’Africa, gli proponevo di aiutarlo con gli alberghi, perché sapevo che non aveva un euro, ma lui non ne voleva sapere e si faceva ospitare dalle famiglie delle persone che conosceva. Viveva con e come le persone che fotografava. Ripensandoci oggi aveva ragione lui, forse è stato proprio quello il segreto della bellezza e dell’autenticità delle cose che ha fatto».

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