Un secolo fa, tra il 1922 e il 1924, un uomo che si era innamorato dell’Egitto a soli sedici anni e che non aveva alcun titolo universitario, fece una delle più grandi scoperte archeologiche di tutti i tempi. La più sorprendente, quella che avrebbe cambiato per sempre il nostro immaginario. Questa storia me la sono fatta raccontare da una persona che quando aveva dodici anni venne folgorata dai faraoni e che, grazie ad una passione incredibile, da nove anni dirige il Museo Egizio di Torino.
Siamo nel 1922, nella Valle dei Re. Il 4 novembre l’inglese Howard Carter scopre in mezzo alla sabbiadei gradini che scendono: prima quattro, poi dodici. È una scalinata al fondo della quale trova una porta intonacata con il cartiglio con il nome di Tutankhamon e il sigillo dello sciacallo con nove nemici con le mani legate dietro, il sigillo della necropoli. Scrive subito un cablogramma a Lord Carnarvon, il mecenate inglese che finanziava i suoi scavi, in cui annuncia: “Trovata tomba intatta”. Il nobile parte immediatamente da Londra con la figlia, si imbarca su un piroscafo che lo porta ad Alessandria e poi attraversa l’Egitto in treno. Tre settimane dopo, il 26 novembre, tutti insieme riprendono gli scavi che porteranno ad una scoperta inimmaginabile: una tomba che contiene ancora le spoglie mortali del sovrano, il suo corredo di 6.000 oggetti, la maschera dorata del faraone e tutti i gioielli.
Per ascoltare i dettagli di questa storia sono andato a trovare Christian Greco, che ha appena pubblicato il libro “Alla ricerca di Tutankhamun”, gli ho messo un microfono davanti e lui mi ha trasmesso tutto il suo entusiasmo e la sua passione. Lo potete ascoltare nella nuova puntata del mio podcast “Altre/Storie”.
«Quando si trovarono di fronte ad una seconda porta sigillata, quella della camera sepolcrale, Carter fece un foro al centro, inserì la sua mano che stringeva una candela e Lord Carnarvon gli chiese: “Che cosa vedi?” Lui rispose “Vedo cose meravigliose”. Una frase che sarebbe passata alla storia».
«Tutti conosciamo Tutankhamon, è una delle prime foto che vediamo nei libri di storia alle elementari, la magnifica maschera dorata e tutti ci affasciniamo all’archeologia, con l’idea che in un cunicolo nascosto sottoterra in Egitto potesse aver riposato per più di 3.000 anni un faraone il cui sonno eterno è stato disturbato dagli archeologi. E questo però, già allora ebbe un impatto incredibile, perché i giornali di tutto il mondo ne volevano parlare. E Lord Carnarvon fece un errore immenso: diede l’esclusiva della scoperta al Times di Londra, i giornalisti egiziani non potevano entrare e questo suscitò immensi problemi che portarono addirittura a fermare lo scavo».
Ogni giorno il Times pubblicava le ultime notizie sulla scoperta e c’erano le file alle edicole di Londra: «Era scoppiata la “Tut-mania”, un fenomeno che presto diventò di massa. Allora Carter cominciò a soffrire moltissimo del fatto che la scoperta richiamava personaggi di ogni tipo: curiosi, turisti, giornalisti, perfino teste coronate, la prima fu la regina del Belgio. Tutti si affollavano fuori dalla tomba e volevano vedere. Lui non riusciva più a scavare».
Cinquant’anni dopo la scoperta il clamore si trasforma in un fenomeno mondiale, prima negli anni Sessanta il tesoro del faraone fa un tour americano, da New York a Los Angeles, poi nel 1972 c’è la prima grande mostra su Tutankhamon al British Museum con persone che stanno in fila fino a 72 ore per poter entrare, e la Regina Elisabetta II che corre a vederla e si ferma a fissare la maschera d’oro.
Christian Greco nel libro ricostruisce non solo il valore della scoperta e la storia di Tutankhamon, un ragazzo che diventa sovrano a otto anni, muore a diciotto e vive una vita difficile in un periodo storico complicato, ma anche la vita di Howard Carter. È l’egittologo più famoso della storia senza essere stato uno studioso e senza avere una laurea, era arrivato in Egitto a soli sedici anni come disegnatore e subito rimase folgorato dall’archeologia. Anche la passione di Christian Greco, nominato direttore del Museo Egizio di Torino a soli 39 anni, nasce quando è giovanissimo: «Mi portarono in Egitto a soli dodici anni e mi innamorai di questa civiltà. Ricordo che nel volo di ritorno da Il Cairo a Roma mia madre mi chiese se l’Egitto mi fosse piaciuto. Io le risposi: “Diventerò egittologo”. I miei genitori hanno sperato nel tempo che questa passione adolescenziale se ne andasse, per il timore che non avrei mai trovato lavoro.
È stata dura, non ho avuto un lavoro pagato nel mio settore fino a 34 anni. Ma oggi mi do quasi un pizzicotto ogni mattina e mi dico: ma sta succedendo davvero? Sono davvero il direttore del Museo Egizio, per me un sogno». Per farcela e pagarsi gli studi e il dottorato in Olanda ha lavorato per un’impresa di pulizie, poi ha fatto il portiere di notte, alla fine, quando il suo olandese era diventato abbastanza buono, ha cominciato a insegnare latino e greco nei licei classici olandesi: «Ricordo che avevo 27 ore di insegnamento frontale, nove classi, 280 allievi. Non esiste in Olanda l’orale, quindi ogni settimana avevo 280 versioni da correggere e al contempo dovevo scrivere il dottorato. Lavoravo giorno e notte spinto da una passione grandissima».
Christian legge undici lingue: «Quando ero a Leida il mio professore mi disse di scrivere un paper su un sarcofago che è conservato al British Museum. Io andai in biblioteca e vidi che c’era solo un’edizione del 1911, scritta a mano in danese. Così tornai dal professore spiegandogli l’ostacolo. Lui mi guardò e disse: “Non capisco quale sia il problema: esistono i dizionari”. Fu una grande lezione sulla passione e sulla volontà di affrontare le sfide».