Si possono aspettare sei anni per scattare una fotografia? Alla fine del 2017 Valerio aveva segnato sul calendario tutte le date delle fasi lunari, in particolare quelle in cui la luna tramontava in un determinato punto. Ogni sera “giusta” partiva per provare a portare a casa l’immagine che aveva sognato, ma c’era sempre un problema: le nuvole, la pioggia, la nebbia, la foschia… Così per sei volte, all’inizio di ogni anno, ha compilato il calendario e non ha mai sprecato una data possibile, ma senza successo. Non si è mai scoraggiato, perché la più grande delle doti di Valerio è la pazienza, una qualità che non va troppo di moda ma che lui coltiva con determinazione. Alla fine, alle 18:52 del 15 dicembre 2023, la lunga attesa è stata premiata e la sua vita è cambiata.
All’inizio l’idea era quella di allineare la Basilica di Superga e il Monviso per fotografarli insieme. Valerio si era fatto aiutare dal mappamondo di Google Earth: aveva tirato una linea dalla cima della montagna alle cui pendici nasce il Po fino alla cupola della basilica e aveva trovato quattro possibili punti. Non bastava, bisognava capire quale era l’altezza giusta affinché la chiesa non coprisse il profilo della montagna, così aveva cominciato a camminare sulle colline. Il punto ideale lo aveva trovato a nord-est di Torino, sopra Castagneto Po, a 380 metri d’altezza. La prima volta che c’è salito si è reso conto che in quell’istantanea che aveva immaginato poteva entrare anche un terzo soggetto: la luna. Da quel momento si è messo a studiarne le fasi per scoprire che ci sarebbe stato soltanto un giorno perfetto in tutto l’anno. Una sera in cui la luna al tramonto avrebbe fatto esattamente da sfondo alla sua composizione.
E al sesto tentativo, dieci giorni prima di Natale, ha capito che forse ce l’avrebbe fatta: il cielo era limpido e l’aria asciutta. Così ha sistemato il suo cavalletto e il gigantesco teleobiettivo da 500mm, e si è messo ad aspettare.
Quando tutto si è allineato e ha visto la sagoma del Monviso disegnata sulla Luna ha scattato. Niente filtri, ma un lavoro fatto in studio quella stessa notte per schiarire l’immagine e regolare contrasti, ombre e luci.
La mattina dopo, soddisfatto del risultato, ha spedito il file alla Nasa, per partecipare al concorso “Astronomy Picture of the Day”, la risposta non si è fatta attendere: per l’ente spaziale americano la sua è stata la foto del giorno di Natale. Un regalo migliore non avrebbe potuto immaginarlo, un regalo che avrebbe finalmente premiato anni di sforzi, di passione e di freddo.
«È come se questa foto avesse sbloccato qualcosa – mi racconta – migliaia di persone hanno condiviso quell’immagine e hanno scoperto le mie foto che sono uscite dal Piemonte e sono andate in giro in tutto il mondo». Basti pensare che il suo account Instagram aveva 30mila follower, faticosamente conquistati in 9 anni, e ora in sole tre settimane sono quadruplicati.
Per non parlare della fila costante che c’è di fronte al suo banchetto dalla mattina alla sera: decine di persone che vogliono comprare una foto, fargli i complimenti, stringergli la mano.
La vicenda di Valerio Minato e del suo scatto fortunato che va a ruba, tanto che non riesce a stampare tante copie quante ne potrebbe vendere, potrebbe concludersi qui. Invece per me comincia qui, perché nella sua storia non ci sono solo pazienza e determinazione ma anche il coraggio di cambiare vita nel momento più buio e difficile.
Conosco Valerio Minato da più di dieci anni, da quando ho notato il suo banco sotto i portici di Piazza Vittorio a Torino. Non vendeva libri, borse di cuoio, gioiellini, ma le sue fotografie, stampate su un supporto rigido e a prezzi accessibili a tutti. Ricordo che mi avevano colpito i soggetti ricorrenti: il Monviso, la Mole Antonelliana, il Po, le vecchie vetture del tram, ritratti però con prospettive originali.
Lo vedevo ogni fine settimana, con qualsiasi tempo, dietro il suo banco dalla mattina alla sera. Ho cominciato a fermarmi a chiacchierare e siamo diventati amici. Un giorno mi ha raccontato che aveva sentito dire che nelle giornate limpide si poteva vedere il Monviso dalle colline della bergamasca, allora aveva immaginato una fotografia impossibile: il Duomo e i grattacieli di Milano con lo sfondo della sua vetta preferita. Si è messo a cercare il punto giusto e alla fine da Torre de’ Roveri in provincia di Bergamo ce l’ha fatta a scattare quella foto. Quella sera mi aveva mandato una mail per dirmelo e forse quella è stata la prima foto che gli ho comprato. Da allora ho sempre in casa il calendario su Torino che produce ogni anno: «Il primo l’ho stampato nel 2014: 300 copie, ora sono all’undicesima edizione e ne ho vendute 5.000».
Valerio è nato nel 1981 a Biella e nella sua vita la fotografia è arrivata dopo i trent’anni. Si era diplomato perito chimico tintore, aveva trovato subito un lavoro in un’industria tessile, poi era passato in una fabbrica chimica del settore gomma: «A 24 anni, dopo cinque passati in fabbrica, ho avuto un bruttissimo incidente sul lavoro: ho quasi perso un braccio, risucchiato da una macchina. Sono stato un mese e mezzo in ospedale, ho subito cinque interventi chirurgici, e tra un’operazione e l’altra ho deciso di cambiare tutto».
Così ha lasciato Biella e si è iscritto all’università a Torino: Scienze forestali e ambientali. «Volevo una vita nuova, stare in un mondo completamente diverso. Volevo la natura e l’aria aperta. Ma senza l’incidente non so se avrei avuto il coraggio di cambiare strada, la drammaticità di quello che è successo mi ha spinto ad una scelta radicale».
All’ultimo anno di università compra una macchina fotografica e per gioco inizia a scattare, dopo la laurea trova lavoro in un’azienda, ma la passione per l’immagine occupa sempre più spazio dentro di lui. «Quando mi hanno offerto un contratto a tempo indeterminato ho deciso di dire di no, di fare una scelta ancora più totale di libertà. Ispirato dai banchi sotto i portici di Via Po mi sono iscritto all’albo degli “Operatori del Proprio Ingegno” e ho aperto il punto vendita delle mie foto. Il primo anno è stato complicato ma oggi riesco a vivere bene del mio lavoro. Durante la settimana vado in giro a scattare e nel fine settimana “apro il negozio”. Ho cominciato in città ma oggi guardo sempre di più alla fotografia naturalistica e allora sono arrivati i viaggi in montagna e le trasferte in Abruzzo, dove ho passato il mio tempo con le volpi e gli orsi».
La sua foto del cuore però non è quella della luna e del Monviso ma quella dell’orsa Amarena con i suoi cuccioli. «L’ho seguita e fotografata per tre anni in Abruzzo, era diventata un simbolo e questo scatto l’ho fatto Il 28 giugno 2023, due mesi prima che la uccidessero con una fucilata. Era un bellissimo esemplare di orso bruno marsicano, un simbolo di convivenza pacifica, ma aveva troppa fiducia negli uomini».