I cieli sono vuoti, le scie degli aerei sono scomparse e gli aeroporti sono deserti. Nessuno arriva più. Lo scorso anno i turisti stranieri hanno trascorso 360 milioni di notti in Italia, hanno speso più di 40 miliardi di euro e dato lavoro a quattro milioni di persone. Il turismo rappresenta il 13 per cento dei ricavi del nostro Paese e oggi è azzerato. Nel momento in cui ragioniamo di riaperture e di “Fase 2”, di come le cose possono, a poco a poco, riconquistare piccoli pezzi di normalità, non possiamo dimenticare che per molti sarà come a marzo per lungo tempo. Il congelamento totale del turismo è un dramma globale, come il coronavirus, per questo sono andato a cercare piccole storie italiane ma anche straniere che ci raccontassero chi è condannato solo ad aspettare, chi può provare a ripartire quasi da zero e chi non sa cosa lo attende.
Il cielo (vuoto) della Sicilia
Esiste un sito che si chiama flightradar24.com in cui si possono vedere in tempo reale tutti i voli che solcano i cieli del mondo, nel momento in cui lo apro – sono le 10:20 di giovedì 30 aprile – non c’è nemmeno un aereo sulla Sicilia. Venti minuti fa è atterrato a Catania un Alitalia che arrivava da Roma, poi più nulla; si vede solo un aereo sopra la Calabria, ma si tratta di un velivolo militare. Ma soprattutto nessun volo internazionale arriva e arriverà per mesi. Se guardiamo alla mappa del mondo vediamo che il cielo del Mediterraneo è completamente sgombro.
È questo l’incubo che toglie il sonno a Giusi Macchiarella, palermitana, 62 anni, una vita passata a portare i turisti nella sua isola. «Ho cominciato sui banchi di scuola a fantasticare cosa valesse la pena di far vedere a uno straniero della Sicilia. Sei anni fa ho aperto una mia piccola agenzia specializzata in tour della Sicilia focalizzati su vino e cultura. Americani, australiani e cinesi i maggiori clienti. Le cose sono cresciute bene, insieme al mio sogno di un turismo consapevole e di qualità, e l’Oriente sembrava sempre più vicino».
Da febbraio sul suo computer arrivano solo laconiche mail di cancellazione, l’ultimo viaggio rimasto in piedi era per fine ottobre, un gruppo di 25 neozelandesi che avevano prenotato un tour della Sicilia con degustazione in varie cantine, sette giorni, piccoli alberghi, tutto confermato. «Hanno aspettato, forse per rispetto, forse per speranza, ma lunedì hanno disdetto tutto. Adesso la mia agenda è completamente vuota». Giusi è incredula, spaventata, non se la prende con nessuno ma prova a immaginare: «Il mio lavoro è scomparso, sparito, non esiste più. Chissà quando tornerà. Gli ottimisti dicono tra un anno, ma temo sarà tra due. Mi sento come in un limbo, in cui non posso decidere nulla. Tutti quelli come me, e siamo tantissimi, non sono stati licenziati, non hanno perso il lavoro ma è il lavoro stesso a essere scomparso all’improvviso. Però abbiamo ancora costi e debiti. Ti addormenti e ti risvegli pensando solo a quello, se riesci a dormire».
«Non posso far altro che aspettare e intanto ridurre i costi al minimo: noi siamo in quattro, così ho messo i tre dipendenti in cassa integrazione ma non hanno ancora visto un euro. Non mi sembra che il governo abbia colto la dimensione di questo dramma. Ma per quanto potrò sopravvivere? Gli americani si organizzano sempre un anno per l’altro, in autunno temo che non prenoterà nessuno per la primavera e l’estate del 2021. Prima dobbiamo essere un Paese sicuro e il mondo dev’essere stabilizzato e pacificato, realisticamente si tornerà a lavorare nel 2022. Un tempo infinito. Io però non riesco a stare ferma e allora passo le mie giornate a immaginare nuovi itinerari, per essere pronta quando i cieli torneranno a riempirsi. Ho un pensiero ricorrente: vorrei saper lavorare la campagna, mettere le mani nella terra, veder crescere le piante. Penso che quella fatica oggi sia una salvezza».
A Tangalle la speranza è chiusa in garage
A Tangalle, Sri Lanka, ci sono i tuk tuk. E poi c’è il tuk tuk di Akila, che qualche anno fa ha pensato di trasformare il suo taxi a tre ruote in un’esperienza comoda e “instagrammabile”, come piace ai turisti occidentali ai quali offre, per tariffe sensibilmente superiori rispetto alla concorrenza, wi-fi a bordo, acqua sempre fresca, sedili in pelle immacolata e perfettamente imbottita. Ha chiamato il business “Tuk Tuk Safari” perché non propone solo un sevizio taxi, ma piccoli percorsi nei luoghi più belli della zona e fuori dalle rotte turistiche. I suoi cavalli di battaglia sono il mercato della verdura e della frutta e il porto dei pescatori, con decine di pescherecci colorati che aggiustano le reti.
«Guadagnavo 70mila rupie al mese – dice Akila – sono circa 340 euro, forse a voi sembra poco, ma non lo è. Alla fine dell’anno il mio era il doppio di uno stipendio medio». Il suo ultimo giorno di lavoro è stato il 16 marzo, quando un decreto ha stabilito che chiunque venisse in contatto con turisti doveva poi entrare in quarantena; poi il 20 marzo è stato proclamato il coprifuoco. «Ho messo il tuk tuk nel garage e non l’ho più tirato fuori: sull’isola sono rimasti pochissimi turisti, solo quelli che non sono riusciti a rientrare prima che l’aeroporto chiudesse. Non possono comunque fare niente perché è tutto chiuso: il mio tuk tuk non serve. Non guadagno più niente».
A oggi, in tutta Sri Lanka, si registrano poco più di 500 casi di Covid-19 e sette decessi. Il primo srilankese morto è deceduto il 3 marzo, però in Italia. «Il presidente è stato bravo a chiudere tutto – conclude Akila – il nostro sistema sanitario non avrebbe retto. Però il turismo è la prima fonte di guadagno dell’isola e non so quando qualcuno avrà voglia di tornare qui. Non parlo solo di avere i soldi per farlo o di poterlo fare perché ci sono gli aerei. Intendo anche che magari, nella testa delle persone, viaggiare non sarà più una cosa importante. Noi possiamo solo sperare».