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6 Aprile 2024

L’uomo che scoprì New York

500 anni fa l’esploratore Giovanni da Verrazzano arriva sulle coste americane e getta l’ancora nel punto in cui ora c’è il ponte che porta il suo nome. Intorno a quel ponte c’è un mondo di storie, da Tony Manero alla mamma del “Boss”
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Il 17 aprile del 1524 una piccola caravella, la Dauphine, che aveva risalito la costa nordamericana, gettò l’ancora all’apertura di una baia allora sconosciuta. A guidare la spedizione c’era un navigatore italiano, di nome Giovanni da Verrazzano, che aveva avuto l’incarico dal re di Francia di cercare un passaggio per raggiungere l’Oceano Pacifico, la tanto desiderata rotta per la Cina. Scambiò la grande baia per un lago di acqua dolce popolato di canoe indigene e, dopo l’incontro con la tribù nativa che viveva sulla costa, decise di proseguire continuando a mappare la costa orientale americana. Oggi, cinquecento anni dopo, in quel punto esatto dove aveva ancorato la nave c’è il ponte che collega Brooklyn all’isola di Staten Island, quello che chiude la Baia di New York, dove comincia la più famosa maratona del mondo. A ricordare quel primo esploratore, nato a Greve in Chianti, ci pensa proprio il ponte che si chiama “Verrazzano Bridge”.

Verrazzano Bridge è il ponte sospeso che collega Brooklyn a Staten Island sormontando lo stretto braccio di mare che separa i due distretti

Molti anni fa avevo letto che dalle Torri Gemelle si potevano vedere il ponte e l’Oceano, ero attratto dall’idea che con un solo colpo d’occhio si riuscissero a guardare i grattacieli e l’Atlantico. Così per tre volte negli anni ho cercato di salirci, ma ogni volta la fila era lunga e faceva o troppo caldo o troppo freddo per stare in coda. Ricordo che l’ultima volta che ho rinunciato, a gennaio del 2001, ho pensato: “Pazienza, tanto le Twin Towers sono sempre qui, sarà per la prossima”. Otto mesi dopo di quella meraviglia era rimasto solo un cratere fumante intorno al quale ho passato sette settimane, nel primo servizio da inviato negli Stati Uniti a cui sono stato assegnato. Quando hanno inaugurato la Freedom Tower (che ha preso simbolicamente il posto delle Torri) ho pensato che questa volta non mi sarei fatto sfuggire l’occasione, così l’estate scorsa ho prenotato il biglietto per tempo e sono salito. Era luglio ma quella mattina una coltre di nebbia e nuvole impediva la vista verso il mare e sulla Baia, così nemmeno questa volta sono riuscito a vedere il ponte.

Quando ho scoperto, su un vecchio libro, che questo mese di aprile avrebbe segnato i cinque secoli dall’arrivo di Giovanni da Verrazzano all’ingresso della Baia, ho pensato che l’occasione valesse un piccolo pellegrinaggio alla scoperta di una parte di New York molto poco conosciuta e per nulla di moda. Per arrivarci bisogna prendere la metropolitana R e scendere al capolinea di Bay Ridge, ci vuole circa un’ora da Times Square. Quando si esce dalla stazione sembra di stare in un altro mondo, lontano anni luce da Manhattan: casette piccole e basse in un quartiere abitato da generazioni da italiani (qui era nata Adele Zerilli, la mamma di Bruce Springsteen, scomparsa a fine gennaio a 98 anni), greci e irlandesi.

Verrazzano Bridge è stato inaugurato nel 1964 e dedicato all’esploratore italiano Giovanni da Verrazzano

La Chiesa è dedicata a San Patrizio, gli avvocati e i caffè sono greci, le pizzerie sono italoamericane come quel ragazzo che per anni è stato il santo protettore della zona: Tony Manero. Il protagonista del film “La febbre del sabato sera”, interpretato da John Travolta, qui viveva e lavorava e seduto sulla panchina che guarda la baia raccontava a Stephanie, la sua compagna di ballo, tutte le storie che conosceva su quel ponte inaugurato nel 1964, tra cui la leggenda che nel cemento dei piloni sia sepolto un uomo scivolato durante la costruzione. (Il ponte è anche il protagonista del dramma finale del film).

Tony Manero (John Travolta) e Stephanie Mangano (Karen Lynn Gorney) in uno scatto tratto dal celebre film “La febbre del sabato sera”
Il Coffe Club Diner a Brooklyn

Sedersi su quella panchina, dove c’è sempre vento, è uno spettacolo: passano le navi che arrivano dai Grandi Laghi, al confine con il Canada, scendendo lungo il fiume Hudson per entrare nell’Atlantico. Qui si incrociano chiatte, battelli, barche a vela e navi da crociera. Atletici genitori corrono spingendo carrozzine, gli anziani del quartiere che vivono qui da sempre portano a spasso il cane, c’è chi fa ginnastica e chi la pausa pranzo. 

Quasi nessuno sa chi sia Verrazzano, al Coffee Club, il diner dove i poliziotti fanno colazione con uova e salsicce, ci sono ancora i segni della parata per la festa di San Patrizio e si parla del nuovo parco giochi per bambini costato 5 milioni di dollari. Non sono previste celebrazioni qui per il cinquecentenario, ma non c’è da stupirsi, l’America gli ha sempre preferito un altro esploratore, l’inglese Henry Hudson (da cui il nome del fiume che corre lungo la parte ovest di Manhattan) arrivato 85 anni dopo – nel 1609 – ma per conto degli olandesi che qui diedero vita a New Amsterdam, l’antenata di New York. Solo nel 1964 si decise di dedicare a Verrazzano il ponte sorto sul luogo del suo ancoraggio, anche se fino all’ultimo fu in ballottaggio con John F. Kennedy, il presidente assassinato l’anno prima, a cui venne però intitolato l’aeroporto internazionale.
All’epopea della costruzione, durata cinque anni, è dedicato il libro che raccoglie i reportage scritti per il New York Times dallo scrittore Gay Taleseche seguì i lavori raccontando le vite degli operai (tra cui i famosi indiani Mohawk, conosciuti per le loro doti di equilibrio e la capacità di lavorare a grandi altezze), delle migliaia di famiglie che vennero sfrattate e le cui casette vennero abbattute per fare spazio alle rampe d’accesso al più lungo ponte sospeso d’America.

“The Bridge” è il libro che lo scrittore Gay Talese ha dedicato alla storia del Ponte di Verrazzano

È Talese, che oggi ha 92 anni, a spiegare nel libro che l’omaggio al navigatore italiano conteneva però una sciatteria, nel contratto di costruzione infatti venne fatto un refuso e il nome ufficiale fu trascritto con una sola “Z”: Verrazano Bridge. «Un errore di battitura – scrisse Talese – che nessuno corresse e tutti lasciarono correre. Un refuso scolpito nella pietra». Un destino comune a migliaia di italoamericani che hanno visto i loro nomi storpiati e trasformati.

Solo mezzo secolo dopo una petizione lanciata online da uno studente universitario di origine italiana ha raccolto migliaia di firme e ha spinto nel 2018 il Senato dello Stato di New York a passare una legge che aggiunge la Zeta mancante. Di fronte alle resistenze venne sottolineato come sarebbe stato uno scandalo da sanare immediatamente se l’errore fosse stato fatto con un nome inglese: immaginate se l’aeroporto si fosse chiamato “Kenedy” con una N sola.  Dopo la firma il governatore Andrew Cuomo si è però preoccupato di spiegare che cambiare tutta la toponomastica e i cartelli sarebbe costato diversi milioni di dollari, così si è deciso di sostituire nel tempo solo quelli che sono rovinati. Così adesso si incontrano entrambe le grafie. Ha cambiato la propria insegna anche la scuola elementare intitolata al navigatore, mentre hanno mantenuto la vecchia grafia i molti negozi, da quello che vende le biciclette più alla moda al concessionario della Bmw, che avrebbero dovuto rifare i loro siti, i social e tutti i materiali pubblicitari.

Nella prima foto una delle insegne stradali con il refuso “Verrazano Bridge”, con una sola Z. Per una questione di costi lo Stato di New York ha deciso di sostituire con la grafia corretta solo le insegne rovinate


Il ponte è tornato agli onori della cronaca proprio in questi giorni perché la MTA, l’autorità pubblica che gestisce i trasporti, tra cui la metropolitana, ha chiesto agli organizzatori della maratona di New York di pagare 750mila dollari per l’uso del ponte, spiegando che la cifra è pari ai mancati incassi da pedaggi della domenica di novembre in cui resta chiuso per far passare i 50 mila corridori che arrivano da tutto il mondo. La richiesta è stata ritenuta irricevibile, ma la MTA ha detto che, visti i suoi problemi di budget, se non avrà i soldi richiesti metterà a disposizione al massimo uno dei due piani del ponte. Questo significherebbe allungare di molto i tempi di percorrenza di tutta la maratona, che per i più lenti si concluderebbe con il buio, oppure spingerebbe gli organizzatori a ridurre gli iscritti. La discussione è accesissima e occupa grande spazio sui giornali e in televisione.

Ogni anno sono circa 50 mila le persone che si radunano sul Ponte di Verrazzano per correre la maratona di New York

Il nome di Giovanni da Verrazzano è comunque arrivato fino a noi, anche se con fortune alterne, la sua vita non ebbe una conclusione gloriosa: al suo terzo viaggio dall’altra parte dell’Atlantico si spinse nei Caraibi e morì nel 1528, a soli 43 anni, in quelle che sono oggi le Isole Bahamas. Non ci sono documenti ma la tradizione accredita che il nobile esploratore toscano sia stato ucciso da una tribù dedita al cannibalismo. Sulla piazza di Greve in Chianti da più di un secolo c’è una statua che lo ritrae con l’armatura e l’elmo, ma anche a Battery Park, nella punta sud di Manhattan dal 1909 c’è un monumento in bronzo che lo ricorda, fu realizzato grazie a una raccolta fondi lanciata dal quotidiano in lingua italiana “Il Progresso”, stanco di sentir parlare solo di Henry Hudson. La statua è ancora lì e nessuno, anche in tempi di revisione storica e di politicamente corretto, l’ha mai imbrattata o messa in discussione. Giovanni da Verrazzano era un esploratore, non un conquistatore.

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