«La prima volta sei sfortunato, la seconda sei un eroe, la terza sei un… insomma te la sei cercata». Il ristorante di Paolo Reggiani è andato sott’acqua la prima volta nel 2016, la seconda nel 2019, si è salvato per miracolo nel 2020 e adesso è allagato di nuovo. Mi risponde mentre sta lavando dal fango i pavimenti. Paolo vive e lavora in Emilia, non in Romagna, la sua attività è a Campogalliano, poco lontano da Modena, ma anche qui l’acqua da sette anni è diventata un problema: o non c’è o ne arriva troppa tutta insieme. E allora, dopo essersi rimesso in piedi tre volte, allarga le braccia: «Bisogna avere il coraggio di farsi la domanda: davvero possiamo continuare a occupare spazi con rischio così elevato, ma che al momento non sono più abitabili come li abbiamo pensati? E bisogna trovare il coraggio di rispondersi che bisogna fare un passo indietro».
Ma partiamo dall’inizio. Alla fine degli anni Cinquanta c’è la necessità di recuperare sabbia e ghiaia per costruire l’Autostrada del Sole, che passa poco lontano, così si inizia a scavare intorno all’alveo del fiume Secchia. La materia prima che si estrae da queste parti è oro e così, con il boom edilizio, vengono acquistati tutti i poderi della zona e i terreni trasformati in cave. «A forza di scavare, lo si è fatto fino al Duemila, si è arrivati alle falde freatiche, alimentate dalle acque sorgive, e così le cave si sono riempite d’acqua e si è creata un’area di 50 ettari di piccoli laghi che oggi sono in parte Riserva naturale».
Ma Paolo, che ama da morire la storia, va ancora più indietro nel suo racconto e parte addirittura dall’anno 750, quando l’abate Anselmo, un duca longobardo diventato monaco benedettino, fondò un’abbazia in mezzo a un terreno paludoso: l’abbazia di Nonantola. «Attorno all’Anno Mille i benedettini si inventano uno stratagemma efficace: in cambio di aiuto nella bonifica dei terreni e nella difesa dell’abbazia, i monaci distribuiscono la terra agli abitanti. L’unità di misura è la “bocca”, significa che la terra viene distribuita in base al numero dei componenti di ogni nucleo familiare. Ogni bocca rappresenta la dimensione necessaria per sfamare una persona per un anno. La terra non restava in esclusivo utilizzo a una famiglia per sempre, ma ogni 10-15 anni veniva risuddivisa in base alle esigenze delle famiglie e ancora oggi qui funziona così».La storia ci dice che qui l’acqua la faceva da padrona, poi con le bonifiche questa parte di pianura è diventata terreno fertile, ma a ricordarlo ci pensa lo stemma del comune di Modena dove sono rappresentate due trivelle.
«Negli anni Settanta questi laghi rischiavano di diventare discariche a cielo aperto, c’era chi sversava liquami e residui industriali, ma un politico illuminato, come succedeva un tempo, inventò il parco. Vennero creati percorsi per le passeggiate, una struttura con bar e cucina, e i laghi cominciarono a diventare un luogo di svago. La frequentazione sociale era un modo per fare vigilanza ambientale e le acque divennero sempre più pulite, tanto che per anni si portava qui la sabbia del Po e si creavano spiagge per le vacanze. Oggi il bagno è vietato perché l’acqua sorgiva è davvero fredda e ci sono stati degli incidenti di persone inesperte che si sono tuffate e hanno avuto malori».
Paolo, che nella vita ha lavorato in un’azienda agricola e da sempre insegna in una scuola agraria, trentacinque anni fa viene a sapere che quel bar, diventato nel frattempo l’osteria “Laghi”, è in vendita. «Con mia moglie Rossella, che è proprio di Campogalliano, lo compriamo dal primo proprietario che aveva deciso di trasferirsi in Costa Rica. Lo ricostruiamo completamente e io mi metto in cucina: non avevo esperienza e facevo solo piatti semplici, finché un amico, che aveva dovuto chiudere la sua bellissima trattoria, non è venuto a lavorare con noi e per un anno mi ha insegnato le tecniche per diventare un vero cuoco. Il resto lo hanno fatto la curiosità e la ricerca». Prima sperimenta le ricette locali, poi studia i libri di storia sulla cucina estense e questo viaggio lo porta ad essere premiato con la chiocciola di Slow Food: «Una delle nostre specialità sono le tagliatelle con la salsiccia gialla. Questo tipo di salsiccia, speziata e con lo zafferano, era stata inventata alla corte degli Estensi e per cinque secoli è stata un simbolo di Modena. Poi con l’Unità d’Italia è scomparsa e abbiamo ricominciato a farla noi secondo la ricetta di un manuale del Cinquecento. Allo stesso modo abbiamo recuperato ricette importanti di un mondo meraviglioso, quello in cui gli Estensi usavano la cucina come strumento di diplomazia».
Fino al 2016 il terreno intorno al ristorante non viene mai allagato e non c’era nemmeno la preoccupazione. «A dicembre di quell’anno si susseguono una serie di eventi estremi: prima delle nevicate eccezionali sulla montagna modenese, poi tanta pioggia e un caldo insolito per la stagione, nella notte fatidica ci sono 16 gradi e un vento con raffiche a 80 km all’ora. La neve si scioglie in un istante, gonfia tutti i torrenti e, senza nessun preavviso, arriva un’onda di piena che allaga tutto. Nel ristorante c’era oltre mezzo metro d’acqua e i danni sono importanti. Rimettiamo tutto a posto e ripartiamo. A maggio del 2019 ci sono piogge eccezionali e succede di nuovo nonostante avessi preso precauzioni: avevamo messo paratie anti-alluvione, ma qualcosa non funziona nelle valvole di scarico e si allaga tutto di nuovo. Ci rimettiamo in piedi. Nel 2020 altra alluvione ma questa volta le difese funzionano e salviamo tutto dall’acqua».
Arriviamo al presente, alle piogge straordinarie che seguono a un periodo di terribile siccità. Questa volta Paolo vede tutto da casa: «Ho messo una webcam nel ristorante e così, impotente, ho visto in diretta l’acqua che trovava la sua strada, entrando dalle fessure del pavimento. Allagati di nuovo».
Paolo sta lavorando e riaprirà il prima possibile ma la domanda se ne valga la pena è entrata inesorabilmente nella sua testa: «Stavolta ho seri dubbi, non possiamo reggere un’alluvione all’anno. Ho pensato che l’abbazia non si è mai bagnata, nonostante stia in un territorio tra due fiumi, e questo perché la saggezza antica l’aveva costruita su un terreno sicuro. Forse anche noi dobbiamo pensare seriamente di spostarci per metterci al sicuro».
Paolo conosce bene il territorio e vede con chiarezza e preoccupazione la situazione: «La collina e la montagna, sempre meno coltivate e mantenute, stanno franando sotto i colpi degli eventi estremi. L’agricoltura intensiva in pianura si preoccupa poco della manutenzione della rete idraulica e una terra costruita per centinaia di anni a colpi di zappa non ha più la cura di cui ha bisogno. I corsi d’acqua sono stati resi più stretti dagli argini e corrono troppo veloci. Si sono rotti degli equilibri e ne paghiamo il prezzo».
Così anche Paolo e Rossella stanno ragionando su dove trasferirsi: «Non vogliamo andare troppo lontani, certo non in Costa Rica dove ha il suo ristorante il precedente proprietario ma nemmeno in città. Siamo consapevoli del fatto che una parte del nostro successo deriva dal luogo in cui siamo: un paesaggio apparentemente incontaminato a un quarto d’ora dal casello dell’autostrada, il silenzio, la pace e un grande orto di erbe aromatiche. Non riesco a immaginare dove andare e la prima fatica è pensare di andare via di qui, dove abbiamo cresciuto i nostri figli. È un dolore ma anche un problema di identità: io sono quello dei laghi e ora, a 62 anni, devo rifondarmi».