A capodanno è arrivata la febbre. Ho cominciato il 2023 con l’influenza e sul divano, sotto una coperta, mi sono messo a cercare le foto più significative dell’anno che stava finendo. Ne ho trovate tante, che raccontano momenti felici, paesaggi indimenticabili o giornate significative, ma quella che ha fatto davvero la differenza non c’era. Non ci poteva essere, perché per scattarla ho perso il telefono e per la prima volta da anni sono stato scollegato per alcuni giorni da tutto: da Whatsapp, da Telegram, da Instagram, da Twitter, da Facebook… una specie di smarrimento all’inizio, quasi una liberazione dopo un paio di giorni.

Ero a Symi, una piccola isola greca incastrata nella costa turca, un’ora di traghetto a nord di Rodi, e non c’era modo di provare a riparare il telefono e nemmeno di sostituirlo. Così ho dovuto arrendermi al fatto che il telefono lo avrei recuperato solo al ritorno in Italia. Lì sono nati i ragionamenti sulla dipendenza dal telefono, sull’urgenza che si mangia l’importanza che ho raccontato nel TedX Milano e su questa newsletter un mese fa (mettere link).
Tutto grazie a una tartaruga. Quando un gruppo di bambini ha gridato che poco lontano dalla spiaggia, al centro della baia, c’era una grande tartaruga, io non ci ho pensato due volte: ho preso una vecchia bustina che serviva a fare le foto sott’acqua e che da anni stava sul fondo dello zainetto insieme alle maschere e mi sono tuffato. La tartaruga si era spostata al largo ma alla fine l’ho trovata e ho scattato. Ma la bustina era piena d’acqua. Ho avuto un brivido ma poi ho pensato che il telefono te lo vendono dicendoti che è subacqueo fino a 5 metri e mi sono focalizzato sulla fiducia nella tecnologia.
Sono tornato in spiaggia e funzionava ancora, mia figlia Irene, più scettica di me, si è subito inviata la foto. Appena in tempo. Un minuto dopo si sarebbe spento per sempre.
Il telefono è ancora lì che dorme e la magica tartaruga me l’ha restituita Irene.