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18 Novembre 2022

L’urgenza e l’importanza

Una riflessione sull'importanza che diamo e dovremmo dare al tempo
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Domenica scorsa mia figlia mi ha chiesto: «Papà, quando presenti il libro a Torino?». Le ho risposto: «Non me lo ricordo, aspetta che guardo sul telefono, dovrei avere una mail con il programma». Ho aperto la posta, mi sono messo a cercare, ma la mia attenzione è stata catturata da un’altra dal titolo: “Ricette da fare con la zucca per Thanksgiving”, era del New York Times. Io sono molto appassionato di zucca e la mia specialità della domenica sera in autunno e inverno è la crema di zucca con le castagne, così ho pensato: Fantastico! Qui trovo un sacco di ricette nuove. Domenica scorsa mia figlia mi ha chiesto: «Papà, quando presenti il libro a Torino?».


Lunedì 14 novembre ho partecipato al TEDx Milano e ho parlato della necessità di riscoprire una nuova sostenibilità del nostro tempo

Ho scorso la mail e, a un certo punto, ne ho vista una molto sfiziosa che non conoscevo, ho cliccato e il link mi ha portato sul sito del New York Times. Si è aperta la mascherina che mi diceva: abbonati! Seguivano le offerte e le tariffe. Ma io sono già abbonato al New York Times e, con fastidio mi sono chiesto: ma perché il telefono non mi riconosce? A quel punto mi chiedeva di inserire le mie credenziali. Ma io non mi ricordo più quali siano, ho dimenticato la parola chiave. Così mi sono messo a cercarla: doveva essere da qualche parte nel telefono. E mentre cercavo tra tutte le password, ho visto quella di una compagnia telefonica che mi sta inseguendo da mesi perché io restituisca un vecchio decoder. Un decoder che era di due case fa e non ho la minima idea dove sia finito. Mi sono ricordato però che la compagnia telefonica mi bombardava di sms. Allora, ho detto: fammi vedere a che punto siamo arrivati con la storia del decoder. E sono andato a vedere negli sms.

La prima cosa che ho trovato è stato un messaggio – che mi ero dimenticato – dell’oculista che diceva che dovevo portare da lui le ragazze martedì alle 19. Allora mi sono girato e ho detto a mia figlia: «Martedì, martedì abbiamo l’oculista!» E lei mi ha chiesto: «E come fai? Se andiamo dall’oculista salti la presentazione? Ma non ti eri accorto che erano lo stesso giorno?». Non capivo: «Ma cosa c’entra la presentazione? Ti ho detto che martedì devi andare dall’oculista». Mi ha guardato perplessa e mi ha detto: «Ho capito, ma tu stavi guardando il telefono per dirmi quando c’era la presentazione, no?». «Ah, è vero».Allora ho fatto il percorso inverso: dall’oculista, al decoder, alla password, alla crema di zucca fino alla presentazione. È vero: avevo preso il telefono per un’altra cosa. E lì mi sono reso conto del naufragio della mia attenzione.


Dobbiamo distinguere le cose urgenti dalle cose importanti. Il tempo non è infinito e dobbiamo usarlo per le cose che ci stanno a cuore

Quante volte prendete il telefono in mano perché dovete fare una cosa che vi sembra importantissima – una telefonata, mandare una mail, scrivere un appunto, comprare il biglietto di un treno – ma poi vedete, per esempio, che avete dieci notifiche di WhatsApp. Dieci notifiche. Wow, pensate, chissà chi mi ha scritto? Entrate e trovate la chat dei compagni di classe (che è ancora una delle più innocue) che propongono la pizzata tra tre giovedì e tu vai a vedere il calendario e no, tu tra tre giovedì non puoi. Allora inizi a dire cosa faccio? Non vado? Propongo io un’altra data? 

Poi vedi la notifica di un giornale che dice che il seggio senatoriale del Nevada l’hanno vinto i democratici. E allora pensi: i repubblicani non ce l’hanno fatta ad espugnare il Senato! Nel mio caso ho scritto subito a un amico che è drogato di politica americana e gli ho chiesto se questo significasse che Trump non si sarebbe candidato. 

Quante volte andiamo avanti così? Io, a un certo punto, mi chiedo: perché ho preso il telefono, che cosa dovevo fare? Allora faccio così: faccio il percorso all’indietro. Appoggio il telefono nel posto da cui l’avevo preso, mi sgombro la testa da Trump, dai democratici, dal Nevada, dalla pizza di classe e cerco di tornare a uno “stato di natura originale” e mi chiedo che cosa dovessi fare di importante. E quasi sempre, a quel punto, riemerge.

Il problema di questo nostro tempo iperconnesso è che viviamo immersi in una moltitudine di stimoli tecnologici, che parlano tutti il linguaggio del tempo reale e provocano una grande confusione nelle nostre teste. Abbiamo bisogno di riscoprire una nuova ecologia, una sostenibilità del nostro tempo. Quando i genitori danno il telefono per la prima volta ai figli cercano di mettere delle regole, ognuno a modo suo. C’è il genitore progressista che fa scrivere al figlio una sorta di documento in cui si impegna a non usare il telefono in determinati momenti. C’è il genitore avvocato che fa addirittura un contratto coi figli. Poi ci sono i genitori che promettono premi, e quelli che minacciano punizioni. E poi c’è la scatola. Una scatola all’ingresso di casa. Quando si va a dormire o prima di sedersi a tavola si deve depositare il telefono nella scatola.


La scatola dove dobbiamo riporre il nostro cellulare per non farci distrarre e prenderci del tempo

Queste scatole mi hanno sempre fatto pensare a Sergio Marchionne. Un grande manager italiano, con cui ho lavorato quando ero a “La Stampa”, scomparso da quattro anni. 

La scatola di Sergio Marchionne era uno zainetto o anche una busta di plastica in cui teneva le sigarette, un paio di bottigliette di tè freddo e tre telefoni, uno con una sim americana, una svizzera e una italiana. Li tirava fuori solo se ne aveva bisogno, perché diceva che quando tu tieni il telefono sul tavolo, il telefono si frega la tua attenzione

Io, quando me l’ha detto la prima volta, gli ho risposto:  «Ma dai, si possono fare anche due cose insieme». E lui mi ha risposto: «Multitasking significa che tu puoi fare due cose male, tre cose malissimo e quattro cose in modo schifoso. Fanne una sola alla volta».

E poi mi ha anche insegnato il valore del tempo vuoto.

Sergio Marchionne e tempo vuoto sembrano due concetti lontanissimi, perché lui era uno che lavorava 18 ore al giorno. Eppure, mi raccontò che quando arrivò alla Fiat si mise a segnare sulla sua agenda uno spazio libero di 20 minuti ogni due ore a cui dava un nome qualunque, qualcosa come “Pasquale”. Chi aveva accesso alla sua agenda, i suoi collaboratori più stretti, all’inizio pensavano che Pasquale fosse un nome in codice per qualcuno che nessuno doveva sapere. Invece Pasquale era lui. Pasquale era il tempo necessario per capire le cose dopo ogni riunione, il tempo di cui aveva bisogno per telefonare, mandare mail e risolvere i problemi che erano emersi.

Per un’ecologia del nostro tempo dobbiamo fare una cosa fondamentale: distinguere le cose urgenti dalle cose importanti.

Le cose importanti sono facili da riconoscere: ognuno di noi sente dentro quali sono. Sono quelle che se non le facciamo avremo un rimpianto. Sono quelle che servono a costruire senso, che fanno la differenza nella nostra vita. Le cose importanti sono quelle che mettono un tassello della costruzione di un progetto, di un sogno e che provano a realizzare un pezzo di futuro.

Siamo bombardati da cose urgenti tutti i giorni, corriamo come sulla ruota del criceto: dobbiamo rispondere a una mail che propone un appuntamento tra un mese ed esige una risposta immediata. Ma tu non sai neanche che cosa mangerai questa sera. Come fai a sapere che cosa farai tra un mese?

E invece questo tempo pretende che vada programmato tutto, ti si chiede continuamente di rispondere, di correre, di dimostrare che sei performante. Le cose urgenti vengono lì, bussano alla tua porta, insistono, sgomitano, si fanno spazio. Le cose importanti invece, siccome sono solo tue e ce le hai dentro, le rinvii, perché pensi, appunto, che sono cose solo tue. E invece no, le devi proteggere. Le cose importanti sono fondamentali nella vita, fanno la differenza. Io questo l’ho capito durante il tempo in cui siamo stati bloccati in casa a partire da quella primavera in cui c’era tutti i giorni il sole ma non potevamo uscire.

Ecco in quella primavera ci siamo resi conto che possono accadere cose improvvise, inattese, inimmaginabili che spazzano via tutto. Tutte quelle cose che avevamo nell’agenda e che erano urgentissime possono essere cancellate in nome di qualcos’altro. E allora possiamo anche noi iniziare a immaginare che esista la possibilità di fare anche cose nuove, inimmaginabili, anche a dare importanza a quello che sentiamo dentro. Sapendo che il tempo non è infinito, che non abbiamo tutto il tempo del mondo e che quindi dobbiamo usarlo per le cose che ci stanno a cuore.

Io tutte le domeniche pomeriggio faccio un foglietto che porto sempre in tasca, su cui mi scrivo quattro, cinque, sei cose importanti. Non segno mai nessuna urgenza, ma cose importanti che per me hanno senso. E durante la settimana, quando sono stanco e ho la sensazione di essere travolto dall’urgenza, lo tiro fuori un attimo, lo leggo e lo uso come bussola per non perdere la rotta.

Fatelo anche voi, rimettete l’importanza al centro delle vostre vite.

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