La capitale del divertimento, del gioco e del peccato si è trasformata nella capitale della disoccupazione americana. Las Vegas è una città vuota, spettrale e spenta. Il “New York Times” l’ha ribattezzata la «ground zero della crisi del lavoro». Eppure, in una nazione che ha superato i 75mila morti, in tutto lo Stato del Nevada le vittime si sono fermate a 266. Ma nessuno oggi si azzarderebbe ad affollare una sala di slot machine, ad accalcarsi intorno a un tavolo di blackjack, a sedersi nei teatri o nei grandi ristoranti; così, i casinò più famosi del mondo hanno chiuso le porte.

Negli Stati Uniti 33 milioni di persone hanno chiesto il sussidio di disoccupazione e a Las Vegas i licenziamenti di queste settimane hanno portato i senza lavoro alla cifra record del 25 per cento. Camerieri, baristi, personale addetto alle pulizie, tutti quelli che lavorano negli spettacoli e nella sicurezza sono scomparsi dalle strade e sono i nuovi fantasmi della crisi del coronavirus. Per questo, il fotografo iraniano-americano Ramak Fazel (nato a Teheran, ma trasferitosi bambino in Indiana, oggi vive tra Brooklyn e Los Angeles) ha scelto di andare a raccontare il “Tropicana”, il “Motel 6” più grande tra i 1.430 della celebre catena a basso costo.



Nelle sue 350 stanze, con tariffe che partono da 30 dollari a notte, dormono i lavoratori delle fasce più basse tra gli impiegati dell’industria del divertimento. Si fermano qui quelli che hanno occupazioni temporanee, lavoretti a contratto, i precari dei casinò. Le sue stanze sono sempre tutte occupate, come il parcheggio, si entra e si esce a qualunque ora, tanto che il suo motto è: «Lasciamo la luce accesa per te». Ora è rimasto solo il guardiano.



«L’incrocio tra Las Vegas Boulevard e Tropicana Avenue – racconta Ramak – è il punto cardinale di Las Vegas, lo snodo fondamentale. Lo si potrebbe paragonare all’incrocio tra 57esima Strada e Quinta Avenue a New York. Cinquanta metri più a Est c’è il “Motel 6”. All’orizzonte si vedono i profili dei più grandi casinò, ma qui non arrivano mai i turisti, qui c’è chi tiene in piedi il sistema. Ora le stanze non ospitano più nessuno, ma le luci sono ancora accese. Tutti hanno fotografato gli ingressi deserti dei casinò, ma questo parcheggio vuoto è il vero indicatore della distruzione che il virus sta portando agli strati più fragili e deboli della popolazione. Perfino i senzatetto vagano senza meta, non hanno più dove dormire e non hanno nessuno a cui chiedere una moneta».