Ogni comunità ha i suoi tempi, i suoi fenomeni, le sue reazioni e può succedere che altrove, in un momento diverso, si ripeta esattamente quello che abbiamo già visto accadere a casa nostra. Me ne sono reso conto questa settimana in Spagna dove è appena stato pubblicato il mio primo libro – “Spingendo la notte più in là” – che qui si chiama “Salir de la noche”.

Alla fine dello scorso anno un giovane editore di Barcellona, che si chiama Luis Solano e ha fondato e guida la casa editrice “Libros del Asteroide”, ha deciso di tradurre e pubblicare in spagnolo quel mio libro che in Italia è uscito sedici anni fa. Naturalmente mi ha fatto molto piacere, ma non ho potuto nascondere il mio stupore. Non capivo il senso di portarlo in Spagna dopo tanto tempo e mi chiedevo come potesse interessare i lettori. Luis mi ha raccontato che lo ha scoperto perché ne aveva sentito parlare alla radio da un giornalista del País, Guillermo Altares, che aveva comprato una copia della versione inglese nel 2010 alla Feltrinelli a Bologna: «Alla radio – spiega Guillermo che oggi guida la redazione cultura del País – mi era stato chiesto quale fosse il libro più importante che avessi letto sul terrorismo e io avevo risposto: un libro che inspiegabilmente non è mai stato tradotto in Spagna, un libro fondamentale perché, anche se parla di Italia, racconta la nostra storia».

Luis poi ne ha parlato con due scrittori spagnoli che lo avevano letto, Javier Cercas e Fernando Aramburu, e che hanno accettato di scrivere le fascette di copertina. Ma soprattutto si è convinto che sarebbe stato di estrema attualità nel dibattito politico.
Ho capito che Luis aveva avuto l’intuizione giusta quando mi ha mandato l’elenco delle interviste che avrei dovuto fare per il lancio del libro: 17 incontri in due giorni. Tutti i principali quotidiani spagnoli, le radio, le agenzie e i settimanali.
Prima di partire ho incontrato a Torino Fernando Aramburu, l’autore di uno dei libri che ho amato di più: “Patria”. È la storia di due famiglie basche, storicamente molto amiche, che vengono travolte dal terrorismo dell’Eta: il figlio di una uccide il padre dell’altra. Le due madri sono quelle che lavorano per ritrovare un senso e una pacificazione.
Al Salone del Libro, Aramburu mi ha chiesto di presentare il suo ultimo romanzo – si intitola “Figli della favola” e si occupa ancora del terrorismo basco – e durante l’incontro mi ha raccontato di quanto nelle ultime settimane la politica spagnola sia stata tormentata dal tema della presenza di 44 ex membri dell’Eta nelle liste della coalizione degli autonomisti baschi alle elezioni comunali. Questa coalizione, che si chiama EH Bildu, sostiene esternamente il governo nazionale guidato dal socialista Pedro Sánchez e ciò ha scatenato polemiche in tutto il Paese. Sette di questi ex terroristi, che avevano partecipato ad attentati e omicidi, alla fine si sono ritirati, ma lo scandalo e lo scontro politico non si sono placati e si pensa che questo abbia influito sui risultati elettorali locali che hanno segnato un crollo della sinistra e hanno portato Sánchez a indire elezioni politiche anticipate.
Insomma, la Spagna, dodici anni dopo la decisione dell’Eta di deporre le armi, si trova a fare i conti con il tema della pacificazione e del ritorno nella società degli ex terroristi. «È il nostro turno di spingere la notte più in là» mi ha detto Aramburu.

«Oggi il Paese basco – ha continuato – sembra un luogo ideale e ha una qualità della vita altissima, ma non possiamo dimenticare che in quel paradiso sociale sono accaduti fatti terribili. L’Eta, che è nata nel 1958, un anno prima di me, nella sua vita ha ucciso 855 persone e ne ha ferite migliaia, prima di decidere di abbandonare la lotta armata nel 2011. Adesso c’è un dibattito molto interessante per provare a trovare un racconto comune di ciò che è successo. Io però temo non sia possibile e me ne rendo conto perché non esiste nemmeno un linguaggio condiviso, da una parte si dice terrorismo e dall’altra lotta armata, oppure la parola Spagna viene sostituita con “lo Stato”. La soluzione è quella di creare una memoria fuori dalle polemiche personali, una memoria collettiva o condivisibile che si possa trovare nei libri, nei film, nelle testimonianze, che possa servire ai cittadini che vorranno sapere e capire. Io, con i miei romanzi, porto il mio piccolo granello di sabbia a questo sforzo di memoria».

Quando sono arrivato a Barcellona e ho iniziato le interviste per il mio libro tutto è stato chiaro. Ogni giornalista mi ha fatto le stesse domande, le domande che si fa oggi la Spagna: «Può un ex terrorista che ha assassinato qualcuno essere candidato? È possibile costruire una memoria pacificata? Come si trasmette ciò che è successo alle generazioni più giovani? Quanto è importante sentire la voce delle vittime? Quanto tempo ci vuole per voltare pagina?».
Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo, quando sentivo questi discorsi costantemente in Italia. Ho capito, ancora di più quanto la memoria sia fondamentale per guardare avanti, una memoria fatta di verità, di giustizia e di attenzione per chi ha pagato il prezzo più alto. Una memoria che non sia però utilizzata dai partiti come strumento di lotta politica quotidiana, altrimenti non sarà mai condivisa e pacificata.