Poche malattie hanno costruito l’immaginario artistico e letterario come ha fatto la tubercolosi. Una malattia romantica, protagonista de “La traviata” di Giuseppe Verdi come de “La montagna incantata” di Thomas Mann, che ha colpito artisti come Emily Brontë e Anton Čechov. Era la malattia della rivoluzione industriale, delle città affollate e malsane, che dalle classi povere poteva contagiare anche i ceti più agiati. Una malattia che esiste dalla notte dei tempi, che accompagna gli esseri umani fin dalla preistoria. Qualcosa che pensavamo di aver sconfitto grazie agli antibiotici e di cui ci eravamo dimenticati.
Tanto che quando, nel 1988, lo scrittore Charles Bukowski scoprì di avere la TBC accadde grazie al veterinario del suo gatto e non ai medici di Beverly Hills che per mesi non ne avevano riconosciuto i sintomi.
Oggi la tubercolosi è una malattia diffusa in tutto il mondo e altamente contagiosa, un’infezione respiratoria come il Covid, ma che uccide ogni anno un milione e mezzo di persone.
Perché parlarne oggi, nel momento in cui finalmente cominciamo a vedere la luce in fondo al tunnel della pandemia che ci ha soffocato per due anni? Perché una cosa avremmo dovuto averla imparata: è fondamentale affrontare i problemi, vederli, chiamarli con il loro nome e investire in prevenzione oltre che in cura.
Per questo, dopo aver raccontato lo scorso anno la storia dei quarant’anni di AIDS nella serie podcast “Un filo rosso”, ora ho accettato la proposta di “The Global Fund, il Fondo Globale per la lotta ad AIDS, Tubercolosi e Malaria”, di raccontare la TBC. Di fare un viaggio nella storia e nella cultura, nella medicina e nelle sfide sanitarie, partendo da Matilde Manzoni, figlia del grande Alessandro che morì proprio per quello che allora veniva chiamato il “lento morbo”, per arrivare a chi combatte oggi sul campo.
Questo podcast si chiama “Un filo blu”, l’ho realizzato insieme a Simone Clemente e per me è un’occasione unica di fare un tipo di informazione che va poco di moda, quella che non parla del fatto del giorno, ma di quei fatti che accadono ogni giorno ma che per assuefazione non vediamo più.