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20 Novembre 2023

Caccia al tesoro

Di notte, al buio, in segreto: è così che si cercano i tartufi. E sempre con un cane che per i trifulau (così si chiamano i cercatori piemontesi) è molto più di uno strumento di lavoro. Un nuovo museo celebra il tartufo e la “cerca” e un grande fotografo racconta le facce (e i musi) dei suoi protagonisti
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Ci sono storie che si possono raccontare in molti modi, scegliendo diversi punti di vista, e spesso il risultato è completamente diverso. Il tartufo bianco che si trova nelle Langhe e nel Roero può essere raccontato partendo dai prezzi, dalle follie che si fanno nel mondo per conquistare l’esemplare più grande e dai piatti degli chef stellati, oppure andare a scoprire storie bellissime di uomini, cani, nebbia, buio, fulmini, pioggia e fango, tanto fango. Quest’ultima, naturalmente, è quella che preferisco.

Tino Marolo e Stella, Monteu Roero (CN). ©️ Steve McCurry. Alba, Italy, 2023
Il progetto è stato realizzato con Sudest57

I tartufi si cercano quando la luce è poca, dopo il tramonto o all’alba, perché c’è più calma e i cani non sono distratti. Nella tradizione popolare – rigorosamente rispettata dai cercatori, chiamati in dialetto piemontese trifulau – non bisogna mai mettersi in cerca con la luna piena, ma solo con quella calante che permetterebbe di trovare quelli più grossi e profumati. Non ci sono conferme scientifiche, ma nessuno viene meno a questa consuetudine. Nell’antichità si immaginava che il tartufo fosse figlio di un fulmine scagliato da Zeus vicino a una quercia, l’albero a lui sacro. Ma già i romani mettevano in relazione la presenza di questo fungo ipogeo con le piogge. Plinio il Vecchio descriveva il tartufo come “una pianta in grado di crescere e vivere senza radici”, figlio del temporale e a metà strada tra il divino e il terreno. Mangiato nell’antichità, spesso dopo averlo cotto, venne dimenticato nel Medioevo – per secoli fu solo cibo per cinghiali, volpi e lupi – e riscoperto nel Rinascimento, periodo in cui divenne un cibo di corte.

Luca Bannò e Simone con Pallina e Asia, Rivalba (TO). ©️ Steve McCurry. Alba, Italy, 2023

Nella “cerca” la pioggia e la nebbia sono fondamentali perché con l’umidità si sente di più il profumo, ma la tradizione che si vada nel bosco di notte è dovuta anche al fatto che chi li trova non vuole farsi vedere. I tartufi nascono sempre sotto le stesse piante e così ogni trifulau sa dove andare a cercarli, ha le sue mappe mentali, che si tramandano di padre in figlio, e il buio serve per mantenerle segrete. Famosi sono i diari dei cercatori che vengono inseriti nei testamenti, per tramandarli. I cercatori sono importanti, ma i loro cani sono i veri protagonisti di queste storie, per questo nel Museo Mudet che è nato ad Alba ed è stato inaugurato da appena un mese, molto spazio è stato dedicato alla storia della cerca e al rapporto tra l’uomo e il cane. Il museo ha chiesto a Steve McCurry di fotografare cani e padroni e lo scorso settembre il grande fotografo americano è stato nelle Langhe a scattare, il suo lavoro è diventato parte permanente dell’esposizione.

Vittoria, Martina e Luca Aloi con Teo, Montà (CN). ©️ Steve McCurry. Alba, Italy, 2023

Negli anni ho conosciuto molti trifulau con i loro cani, quando ero direttore della Stampa sono stato anche presidente della giuria che premia ogni anno il più bravo tra i cercatori a quattro zampe e che si riunisce a Montà (dove verrà inaugurata l’anno prossimo una seconda parte del museo). Negli anni la storia più bella me l’ha raccontata Renato Agnello, 84 anni, che con il suo cane parla in dialetto come se fosse un suo vecchio amico: «Addestrarli è il più bel mestiere che ci sia, ma bisogna farlo con amore e non affamandoli. Prima di tutto devi capire se gli piace il tartufo e se lo mangia, altrimenti è meglio lasciar perdere subito. Poi devi creare un’intesa con il cane e lanciargli una sfida che è anche un gioco: devi nascondere il tartufo ogni volta in un posto più difficile da trovare, deve imparare ad essere tenace nella sua ricerca, quando lo scopre gli devi fare grandi feste. Mio padre amava talmente tanto i suoi cani che li lasciava entrare in casa e quando il pane era ancora una cosa rara e preziosa, io quello bianco l’ho visto per la prima volta che avevo sette anni, se lo toglieva di bocca per dividerlo con loro. Prima di andare nel bosco la notte gli dava la minestrina calda».

Massimo Cavanna e Blues, Ovada (AL). ©️ Steve McCurry. Alba, Italy, 2023

Il cane di Renato si chiama Pulin: «Ho sempre chiamato tutti i miei cani “Gigi”, ma quando ho preso questo ho pensato che sarà l’ultimo che addestrerò, e con cui farò le stagioni che mi restano nel bosco, e allora l’ho chiamato come l’ultimo cane che ha avuto mio padre. Il suo Pulin era un animale di un’intelligenza speciale, quando veniva sera andava a chiudere la porta di casa con la zampa».

Il Museo Mudet di Alba è stato inaugurato un mese fa e, in dieci sale, racconta tutti gli aspetti del mondo del tartufo con video, oggetti, fotografie, disegni e grafiche. È aperto tutti i giorni dalle 10 alle 19

Da molti anni ad Alba, la città dove si svolge la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco, si pensava di dare vita a un museo, che ora ha trovato casa nel palazzo che racchiude il Cortile della Maddalena, proprio nel centro della città. 

Il museo, che è aperto ogni giorno tutto l’anno, racconta tutti gli aspetti del mondo del tartufo e in dieci sale, con video, oggetti, fotografie, disegni e grafiche. E tra le sale, dopo le foto dei cani ho scoperto una storia che non immaginavo: grazie al loro fiuto finissimo i maiali sono sempre stati dei formidabili cercatori naturali. Pare che si facesse ricorso a maiali da tartufo fin dai tempi dell’Impero Romano. Di certo, nel Seicento vennero utilizzati in Francia per la cerca del tartufo nero e in Italia per il tartufo bianco fino a pochi decenni fa. L’uso del maiale si è perso nella pratica ben prima della legge – secondo cui la ricerca deve essere effettuata con l’ausilio del cane – perché i maiali sono certamente meno gestibili dei cani. Una volta individuato il tartufo, tendono a divorarlo e scavano forsennatamente non curandosi di rovinare piante, radici e tutto ciò che li divide dal loro boccone.

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