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28 Giugno 2024

Altre storie americane

Questa notte io e Marco Bardazzi abbiamo seguito insieme il primo dibattito elettorale tra Joe Biden e Donald Trump. Come è andata? Ve lo diciamo in un nuovo instant podcast
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Ci sono amicizie che nascono dal caso, da un problema o perfino da un’incomprensione. In questa storia di inciampi ce ne sono stati almeno due. Il primo il 21 gennaio del 2000, nella cattedrale di Tunisi, al funerale di Bettino Craxi. Lavoravo a Roma per l’agenzia Ansa, ero nella squadra politico parlamentare e mi spedirono in Tunisia appena arrivò la notizia della morte dell’ex leader socialista. Quando iniziarono le esequie, chiamai il centralino per dettare il mio primo pezzo con l’elenco dei presenti in chiesa, mi risposero che era già stato fatto da un altro cronista, tale Marco Bardazzi che era stato mandato dalla redazione milanese dell’agenzia. Con fastidio scoprii che eravamo in due sulla stessa storia. Pochi mesi dopo, quando ricevetti l’offerta di andare a lavorare a Repubblica, andai dal direttore dell’Ansa per capire cosa fare e lui mi disse testualmente: «Se tu fossi venuto una settimana fa, per convincerti a rimanere con noi, ti avrei potuto offrire il posto di corrispondente da New York ma l’ho appena dato a Marco Bardazzi, che aveva avuto un’offerta dal Corriere della Sera».

Pensai che questo Bardazzi era sempre in mezzo ai piedi e andai a Repubblica. Otto anni dopo vivevo anch’io negli Stati Uniti, ero stato mandato per seguire la campagna elettorale che avrebbe eletto Barack Obama presidente e al primo comizio incontrai finalmente Marco. Andammo a mangiare un hamburger, che ricordo notevole, e diventammo amici. Il giorno dopo però gli restituii il regalo che mi aveva fatto a Tunisi, mentre lui era a seguire un inutile incontro di Rudolph Giuliani io riuscii a intervistare Bill Clinton in un pub (che si chiamava the Lucky Dog, il cane fortunato) e gli diedi un buco. Adesso che le cose erano pareggiate potevamo essere serenamente amici.

Io e Marco Bardazzi, poco fa, durante la registrazione del nuovo podcast subito dopo il dibattito presidenziale di questa notte tra Joe Biden e Donald Trump

Sono passati sedici anni, con Marco abbiamo lavorato insieme alla Stampa a Torino e condiviso una montagna di cose. Ci sentiamo ogni settimana e quasi sempre discutiamo d’America e ci scambiamo ogni articolo interessante che troviamo. Quando ho immaginato un podcast di storie americane per raccontare questi mesi di campagna elettorale, per provare a capire cosa sta succedendo dall’altra parte dell’Oceano, ho pensato subito che dovevo farlo con lui e allora eccoci qui, alle cinque di mattina a registrare, dopo aver visto il primo dibattito tra Joe Biden e Donald Trump. (Siamo nello studio che si è costruito in casa Luca Micheli, il responsabile del suono e delle musiche di Chora, che abbiamo svegliato prima dell’alba). Potete ascoltarlo qui.

Il mio nuovo podcast, realizzato insieme a Marco Bardazzi, “Altre/Storie Americane” disponibile su tutte le piattaforme audio gratuite

Il vero motivo per cui ci siamo svegliati nel cuore della notte e per cui milioni di americani erano sintonizzati su Cnn era per capire come sta davvero Joe Biden: gli occhi erano tutti sul presidente, non era importante quello che avrebbe detto ma come lo avrebbe detto. Una sola era la domanda: sarà sciolto, capace, veloce, in grado di difendersi e di attaccare? O invece troppo vecchio e stanco per abitare alla Casa Bianca?
Questa notte è arrivata la risposta: nel primo dibattito contro Donald Trump, il presidente è apparso debole, rigido, esitante e rallentato. La sua voce è roca e affaticata e fa fatica a concludere le frasi: la differenza di energia tra i due è impressionante. Alla fine di ogni dibattito presidenziale si discute sempre su chi abbia vinto, questa volta è facile rispondere: ha vinto Trump

Joe Biden ha detto cose sensate e corrette ma non ha retto il ritmo del dibattito e Trump è apparso molto più giovane e in forma anche se la differenza di età tra i due è di soli 4 anni: 82 e 78.
Il dibattito ha avuto un livello di scontro che non si era mai visto: a Biden che ricordava che Trump è un pregiudicato, lui ha risposto che il presidente è un criminale per quello che ha fatto. Entrambi hanno accusato l’avversario di essere il peggior presidente della Storia.
Forse è per questo che un quarto degli americani si dice insoddisfatto di entrambi i candidati: la percentuale più alta delle ultime dieci elezioni.

Donald Trump durante il dibattito di questa notte (© CNN / Screenshot dal dibattito presidenziale)

Gli attacchi di Trump si sono incentrati su due temi: l’immigrazione e la percezione degli Stati Uniti nel mondo e ha definito la presidenza Biden la peggiore della storia: «Non siamo più rispettati nel mondo, sembriamo un Paese del terzo mondo. Dall’Afghanistan io volevo uscire con onore, la sua uscita è stato il giorno più imbarazzante della storia». Ma è sul confine con il Messico che il repubblicano ha costruito tutta la sua strategia: «Perché hai permesso a milioni di persone, usciti dai manicomi e dalle galere, di entrare qui a distruggere il Paese? Alla fine del mio mandato avevamo il confine più sicuro della storia, oggi il confine è il luogo più pericoloso del mondo e lui lo ha aperto a killer e stupratori, che ospitiamo in hotel di lusso. Grazie a politiche folli le persone entrano e uccidono a dei livelli che non abbiamo mai visto prima. È un paese incivile ma lui non lo sa neanche: Joe, stanno distruggendo il nostro Paese».

Biden ha difeso la sua gestione: «Trump mi aveva lasciato una situazione di caos, è stato l’unico che ha perso più posti di lavoro di quelli che ha creato» e sul ritiro da Kabul ha aggiunto: «Io sono l’unico presidente che non ha soldati che muoiono nel mondo». Si è presentato come il campione delle famiglie e dei più deboli parlando soprattutto di sanità: «L’insulina con Trump costava 400 dollari adesso 50». 
Sull’immigrazione si è difeso dicendo che Trump stava esagerando e raccontando bugie: «Tutto quello che ha detto è falso», ma non è stato capace di spiegare con chiarezza la situazione, mentre Trump per novanta minuti ha ripetuto che è tutto fuori controllo.

Joe Biden durante il dibattito di questa notte (© CNN / Screenshot dal dibattito presidenziale)

Sull’Ucraina le posizioni sono apparse molto lontane, per Biden è doveroso fermare Putin «un criminale di guerra» che vuole ricostruire l’Urss ed è pronto a invadere anche la Polonia e non si fermerà. 
Trump anche qui ha attaccato: «Putin non avrebbe mai invaso l’Ucraina se ci fossi stato io, ma lo ha fatto perché ha visto come ce ne siamo andati dall’Afghanistan. Se avessimo un leader non ci sarebbe stata l’invasione». E ha sottolineato quanto la guerra stia costando agli americani: «Abbiamo dato 200 miliardi di dollari all’Ucraina: ogni volta che viene Zelensky torna a casa con 60 miliardi». Biden ha reagito sostenendo che Putin è stato incoraggiato da Trump e ha aggiunto: «Noi non diamo i soldi, ma le armi che produciamo qui in America».

All’inizio del dibattito si è parlato di uno dei temi chiave delle elezioni: l’aborto. Biden ha attaccato Trump per aver nominato quei giudici conservatori alla Corte Suprema che hanno cancellato il diritto costituzionale di aborto negli Stati Uniti: «È stata una cosa terribile quella che hai fatto» e ha contestato l’idea che siano i politici a decidere della salute di una donna.
Trump si è difeso sottolineando di aver solo riportato la decisione agli Stati e di aver così restituito il potere agli elettori e poi ha accusato i democratici di volere l’aborto anche all’ottavo mese, arrivando a dire un’enormità: «Volete strappare un feto al nono mese e ucciderlo, volete uccidere un bambino appena nato».

I due sono arrivati al dibattito mentre i sondaggi li danno alla pari nel voto popolare, con Trump però in vantaggio in sette Stati chiave. Una differenza di voti teoricamente non incolmabile e che a più di 4 mesi dal voto non permette di dire che i giochi sono fatti, ma dopo questo dibattito Biden appare ancora più debole.

Io e Marco Bardazzi dopo la registrazione del podcast

Biden e Trump si sono confrontati per 90 minuti nel primo di due soli dibattiti prima delle elezioni che si terranno martedì 5 novembre. Non potevano avere appunti e non hanno potuto interrompersi perché i microfoni sarebbero stati accesi a turno, solo quando uno dei due aveva la parola. Nelle mille cose irrituali e mai viste è anche la prima volta che un candidato, inoltre ex presidente, partecipa a un dibattito dopo una condanna penale. Donald Trump è stato ritenuto colpevole dai giudici popolari di aver falsificato i dati contabili della sua azienda per nascondere i soldi che aveva dato a una pornostar, con cui aveva avuto un rapporto, per pagarne il silenzio. Ora rischia fino a 5 anni di carcere e la decisione del giudice di New York arriverà l’11 luglio, esattamente alla vigilia della convention repubblicana. E la grande incognita è se Trump sarà un uomo libero per allora o in arresto.

I sondaggi ci dicono però che per due terzi degli elettori repubblicani la condanna non cambia nulla, non sposta un voto, anzi ha galvanizzato una serie di grandi donatori che hanno finanziato con un fiume di dollari l’ex presidente, dipinto come un perseguitato dalla giustizia. Così l’America, questa mattina, appare ancora più arrabbiata e divisa, tra chi pensa che Trump sia un pregiudicato, un eversore e un pericolo per la democrazia e chi invece lo considera un eroe perseguitato, un liberatore e un campione del popolo.

Nel nuovo podcast con Marco, le cui prossime puntate usciranno il 19 luglio (dopo la Convention repubblicana di Minneapolis), il 23 agosto (al termine della Convention democratica di Chicago) e poi ogni venerdì dal 6 settembre non parleremo però solo di elezioni ma vi racconteremo le storie che, secondo noi, descrivono meglio l’America di oggi e la direzione in cui sta andando.
(Io intanto vado a dormire). Buona giornata! 

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