«Se non avessimo incontrato quel giovane soldato tedesco, saremmo morti tutti». Seduto al lungo tavolo della taverna di casa, gli occhiali con la montatura in corno sempre a portata di mano, Enio Mancini è impaziente: vuole raccontare ancora una volta la sua storia, ricordare, trasportarci con le sue parole a un giorno di agosto di ottant’anni fa.
La sua storia è uno dei tanti frammenti che compone un mosaico terribile. La mattina del 12 agosto 1944 un folto gruppo di soldati tedeschi risale mulattiere impervie e piccoli sentieri sconosciuti ai più per raggiungere Sant’Anna di Stazzema, all’inizio delle Alpi Apuane, nel nord della Toscana. Una volta circondato il paesino, i nazisti danno inizio all’eliminazione sistematica di tutti gli abitanti rimasti. Un vero e proprio eccidio, una strage crudele, atroce, calcolata. Per seminare il terrore e fare terra bruciata intorno ai partigiani, i nazisti eliminano 560 persone, tra cui 130 bambini.
La vicenda di Enio, però, non è come le altre di quel terribile giorno d’agosto. Perché la famiglia Mancini, incamminata sul sentiero che la porterebbe a una morte certa, incontra un soldato tedesco. Un ragazzo, talmente giovane da sembrare appena maggiorenne, che disobbedisce agli ordini e fa una scelta diversa. La raffica che parte dal suo mitra e dovrebbe ucciderli lambisce invece le cime dei castagni, permettendo loro di fuggire.
Enio Mancini ha solo 6 anni, il 12 agosto del 1944. È un bambino, ma anche lui si accorge della fortuna capitata alla sua famiglia. Lo comprende il giorno stesso, quando torna in paese e osserva la distruzione portata dai nazisti. Vede le case dei parenti carbonizzate dalle fiamme e crivellate dai proiettili delle mitragliatrici, al loro interno cadaveri deturpati con cattiveria inaudita.
Negli anni Enio ha svolto un enorme lavoro di testimonianza. Andando di scuola in scuola a raccontare la sua storia, arrivando fino in Germania. Ma ha un tarlo che non lo abbandona mai: deve la sua vita a quel ragazzo anonimo che ha sparato in aria e non ha mai scoperto chi fosse. Ha provato in ogni modo a rintracciarlo nel corso degli anni, ma non ci è mai riuscito.
Per decenni su questo eccidio si è stesa una coltre di cenere, finissima e densa, che ha impedito di poter ricordare degnamente ciò che è successo. Anche dopo la scoperta del cosiddetto “armadio della vergogna”, il cui ritrovamento ha permesso di poter finalmente processare i responsabili delle stragi nazifasciste in Italia. Sant’Anna di Stazzema rimane tuttora nella memoria collettiva di buona parte del Paese come un titolo di una pagina di giornale in un giorno qualsiasi d’estate, accompagnato da qualche fiacca riga piena di retorica.
Non è abbastanza. Non può essere abbastanza. Almeno non lo è per noi, un gruppetto di giornalisti e altri aspiranti tali di base in Toscana che si fa chiamare Capo Verso. Così un anno fa abbiamo deciso di trovare un modo per raccontare a quante più persone possibili la storia dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Abbiamo scelto di usare la forma di storytelling più antica del mondo, quella del racconto a voce, espressa in chiave moderna: è nata l’idea di realizzare un podcast.
Un lavoro del genere non poteva iniziare se non nel luogo dove si è svolto l’eccidio. Il 12 agosto 2023 siamo saliti a Sant’Anna di Stazzema, per seguire le celebrazioni del 79esimo anniversario della strage. Lì abbiamo iniziato a scoprire molti dei piccoli frammenti che, messi insieme, compongono la storia della strage.
E il giorno abbiamo raccolto la prima voce del nostro progetto, a Valdicastello Carducci, un piccolo paesino che si trova direttamente sotto Sant’Anna, dove vive Enio Mancini.
Eravamo un po’ titubanti mentre abbiamo varcato il cancello della sua casa. Ma subito ci ha accolto una voce dall’alto: «È arrivato un plotone d’esecuzione!», una battuta seguita da una gran risata. Ci ha ospitati nella sua taverna, una stanza piena di oggetti particolari come un piccolo busto di marmo dalla forma indefinita e una bella e imponente radio a valvole, e ha iniziato a raccontare.
Quando quel 12 agosto 1944 i tedeschi compaiono al limitare di Sant’Anna, il babbo di Enio e gli altri uomini del borgo in cui vive si rifugiano nei boschi per paura di essere rastrellati. In paese rimangono solo vecchi, donne e bambini. Persone a cui i nazisti non possono fare del male. La paura è che brucino le case con tutto quello che c’è dentro, così ci si affanna a salvare il salvabile, anche le pecore che stanno al piano terra. La mucca no, è troppo difficile spostarla.
Quando i soldati tedeschi arrivano a casa di Enio, però, succede qualcosa di strano. Nonostante ci siano solo vecchi, donne e bambini, i nazisti si fanno subito molto minacciosi: la famiglia Mancini viene messa al muro. «Davanti a noi avevano piazzato una mitragliatrice – racconta Enio – ma una vecchietta, per non spaventare noi bambini, diceva che ci avrebbero fatto una fotografia».
L’esecuzione sembra essere sul punto di avvenire quando un ufficiale ferma tutto. Le donne, i vecchi e i bambini vengono fatti incamminare in fretta e furia per il sentiero che porta verso Valdicastello, mentre i nazisti danno fuoco alla casa. Ma la famiglia Mancini dopo poco si ferma: «La mamma si era ricordata che nella stalla c’era la mucca, era la nostra dispensa, la nostra sopravvivenza, non poteva abbandonarla». Così, per la preoccupazione di non poter dare nulla da mangiare ai bambini, la mamma blocca il cammino e riesce a nascondersi con la famiglia in un piccolo anfratto della montagna, aspettando di capire se è possibile tornare indietro per salvare la mucca.
Ma a un certo punto passa una pattuglia di soldati tedeschi e li scopre: «La mamma mi aveva detto di alzare le mani, io ci rivedo un po’ l’immagine del bambino ebreo del ghetto di Varsavia. Ci hanno preso ma non ci hanno ammazzati subito, ci portavano sul sentiero verso la chiesa».
I sentieri di montagna che portano a Sant’Anna sono costeggiati da grandi castagni. Così per terra si trovano tanti ricci e rovi, dolorosi per i prigionieri in cammino. Soprattutto dei bimbi come Enio, usciti di casa scalzi. «Lungo il cammino – racconta Enio – ci hanno affidato a un solo soldato: giovanissimo, sì e no diciottenne. Quando nessuno ci vedeva più, ha iniziato a parlarci in tedesco. Non lo capivamo, però ci faceva dei gesti molto precisi. “Schnell, schnell, schnell” e ci faceva segno di tornare indietro, mentre lui sparava in aria. Così ci ha salvati». Per molte settimane vissero nascosti in una grotta, terrorizzati del ritorno dei nazisti, e Enio ricorda perfettamente l’arrivo dei soldati americani
Il suo racconto è durato più di due ore, dopo averci spiegato come la sua famiglia si è salvata, ci ha parlato dei giochi che faceva da bambino, degli incubi che ha avuto per anni e anni, degli sforzi fatti da lui e da tanti altri sopravvissuti per tenere viva la memoria dell’eccidio. È un incontro che ci ha arricchito, emozionato, ma ha anche posto tanti interrogativi a cui volevamo dare risposta.
Questa prima intervista a Enio Mancini è di fatto l’inizio del nostro viaggio. Un percorso che ci ha fatto conoscere altri superstiti come Mario Marsili e le sorelle Adele e Siria Pardini, che ci ha portato fino a Roma per ascoltare il procuratore militare Marco De Paolis, colui che ha istruito i processi e condannato i responsabili della strage. Un turbinio di voci e idee differenti che in un anno ha dato vita al nostro podcast: “Cenere – Le voci dell’eccidio dimenticato di Sant’Anna di Stazzema” che si può ascoltare da ieri su tutte le piattaforme audio gratuite.
* Luca D’Alessandro fa parte dell’agenzia Capo Verso, formata da giornalisti, grafici, web designer. Nel 2023 a Capo Verso si è affiancata una nuova realtà, Modisfera. Il podcast “Cenere – Le voci dell’eccidio dimenticato di Sant’Anna di Stazzema” è la prima produzione indipendente in questo nuovo ambito di Modisfera e curata da Capo Verso.