Quanto influiscono sulle nostre vite i sogni che coltiviamo da piccoli, le isole immaginarie che costruiamo nelle nostre teste? Questa è la storia di un bambino che viveva in un villaggio della Germania del sud, poco sopra il Lago di Costanza. I suoi genitori divorziarono, furono i primi a farlo in quella piccola comunità conservatrice, e non fu facile. Il suo rifugio diventarono i libri che sua madre, infermiera, portava a casa dalla biblioteca comunale. «Quei libri mi hanno permesso di fuggire da un mondo chiuso e tradizionale, di immaginare il passato e il futuro».
Gabriel Zuchtriegel, tedesco, 39 anni ancora per due settimane, è il direttore degli Scavi archeologici di Pompei. È una persona colta, parla con un tono di voce basso, ha occhi chiarissimi e, mentre camminiamo per le vie lastricate della città che fu cancellata dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., mette in fila ciò che ha dato la direzione alla sua vita: I libri della biblioteca, la gita scolastica, l’Erasmus, una borsa di studio.
«La passione per il mondo antico non me l’ha passata la scuola, ma forse dovrei dire che è cresciuta dentro di me nonostante la scuola. È controproducente come si studia la storia: troppo focalizzata sulle date, le battaglie, i grandi eventi, mentre la parte affascinante è la scoperta della vita quotidiana delle persone, che non appare nei racconti storici. Gli occhi me li aprirono i libri e poi le gite che facevamo a vecchi castelli ancora abitati, ad antiche fattorie che erano modelli di vita collettiva. Questa è stata la mia prima forma di archeologia».
Mi mostra le scritte propagandistiche sui muri, che servivano per la campagna elettorale permanente che c’era nella Pompei romana, alcune sono firmate da un gruppo di prostitute orientali che invitavano a votare “Lollium”; i termopoli dove si vendevano il cibo e il vino; le case del popolo e quelle dei patrizi; il laboratorio di ricerche applicate dove si conserva e si studia ciò che miracolosamente si è conservato e torna alla luce con i nuovi scavi: pane, datteri, spighe, una borsa in cuoio, pigmenti di colore, ossa di scimmia, conchiglie che arrivavano dall’Oceano indiano.
«Per me l’archeologia è stata la possibilità di calarmi nell’esistenza di una famiglia che viveva in un monolocale annesso alla bottega. Il fascino di Pompei è ritrovare i segni della città con i suoi contrasti e le tensioni sociali, una cosa unica».
«Il libro che ha fatto la differenza nella mia vita, mia madre l’ha portato a casa che ero alle medie, in Italia lo conoscete come “Civiltà sepolte”, di Kurt Wilhelm Marek, che si firmava C.W. Ceram. Era un testo divulgativo, quasi un romanzo, lo scrisse nella Germania distrutta del dopo guerra, in una biblioteca bombardata e si sente lo sforzo di proiettarsi fuori da una quotidianità durissima. Quel guardare lontano era ciò di cui avevo bisogno anch’io e quell’approccio antropologico al passato mi fece capire che le cose e le società possono cambiare in modo radicale».
Poi, quando aveva 17 anni, la sua scuola decise di fare la gita di fine anno a Roma, studiavano anche latino e al professore sembrò il modo migliore per chiudere il suo corso. Era il 1998: «Fui colpito non tanto e non solo dal Foro romano e dagli scavi di Ostia antica, ma da come i monumenti sono parte della città, dalla stratificazione delle epoche, dall’intreccio tra antico e moderno, dal fatto che ci fossero famiglie che abitavano sul Teatro Marcello e poi dalla lingua italiana, dai profumi, persino dal rumore dei motorini. Rimasi incantato, non avrei potuto immaginare sogno più grande di quello di vivere un giorno in questo Paese. La mia vita è un sogno realizzato».
Gabriel Zuchtriegel ha studiato archeologia e filologia greca all’università Humboldt di Berlino, ha fatto l’Erasmus a Roma, all’Università di Tor Vergata, e un dottorato a Bonn. «Anche l’università non era quella che sognavo, troppo tradizionale il metodo di insegnamento, non c’era nelle lezioni la vita antica e così con alcuni studenti mettemmo su un gruppo di studio dal basso per approfondire i temi sociali e le tematiche di genere, oggi molto attuali ma allora completamente ignorate. Ricordo che partimmo dalla figura dell’ermafrodito ».
Alla fine del dottorato vinse un progetto di ricerca di una fondazione tedesca per studiare a Matera la colonizzazione greca, lì incontrò Massimo Osanna, oggi Direttore generale dei Musei italiani, il professore che avrebbe fatto la differenza nei suoi studi e nella sua vita, e al quale sarebbe succeduto nella guida di Pompei.
«Insieme a mia moglie e alla bimba piccola partimmo per Matera con una vecchia Golf, piena zeppa di cose, pensando che saremmo presto tornati a Berlino. Subaffittammo il nostro appartamentino per un breve periodo». Ma in quella casa non sarebbero più tornati «I mobili sono tutt’ora sparsi tra parenti e amici e il nostro secondo figlio è nato in Italia, ora viviamo a Napoli e io dalla scorsa estate sono cittadino italiano».
Infatti, dopo Matera arriva la possibilità di lavorare alla Sovrintendenza di Pompei per nove mesi «Io, un giovane studioso tedesco, dentro Pompei: mi pareva incredibile, se mi avessero detto che sarei diventato il direttore del Parco Archeologico mi sarebbe sembrata una cosa lunare, fuori dalla realtà, come dire: “un giorno diventerai Papa”». Prima di diventare Papa però è stato “cardinale”: dal 2015 allo scorso anno ha diretto il parco archeologico di Paestum.
Gabriel cerca di andare nel sito archeologico ogni giorno, parla con i visitatori, molti gli chiedono informazioni (“Dov’è la casa del Menandro?”, “Scusi, sa dove sono i bagni?”) e non immaginano che sia il direttore anche se è l’unico con la cravatta. È felice di veder tornare i turisti: «Pompei durante la chiusura per la pandemia era davvero triste, non capisco quelli che dicevano che i luoghi della cultura senza turisti erano tornati belli, una cosa incomprensibile. Adesso finalmente sono vivi».
Ci salutiamo nel parcheggio, sale in macchina e mi mostra un flauto di argilla, lo suona per un attimo. Lo porta sempre con sé, era del padre, un musicista che per vivere faceva l’insegnante di pianoforte, componeva sinfonie per bambini, ha fatto perfino musica con le pietre. «Non avevano tante possibilità ma hanno sempre pensato chela cultura fosse fondamentale e hanno avuto ragione».