Cerca
Close this search box.
8 Aprile 2021

Se i primi sono diventati ultimi

Anna Onorati ha 103 anni e vive a Milano. Credeva di ricevere presto il vaccino, invece ha dovuto attendere 47 giorni. Suo figlio Carlo ha denunciato l’inefficienza del sistema lombardo di prenotazioni. Ma lei non ha perso la curiosità e la voglia di tornare alle piccole gioie della vita. Come un caffè al bar
CONDIVIDI SU
Facebook
Twitter
WhatsApp

Poteva immaginare di essere la prima milanese ad essere vaccinata, sentiva dire che sarebbero partiti dai più anziani, invece per 47 giorni la signora Anna ha atteso pazientemente il suo turno, ma non ha ricevuto nessuna comunicazione, nessun messaggio, nemmeno un cenno. Finché nel pomeriggio di mercoledì 31 marzo l’hanno chiamata, dicendole di presentarsi in ospedale la mattina dopo per ricevere la prima dose di Pfizer. Forse temendo il pesce d’aprile, ha detto che aveva fatto richiesta per essere vaccinata a casa, come era accaduto a Roma ad una sua parente di ben 24 anni più giovane di lei. Niente da fare, hanno farfugliato che c’era un problema di trasporto delle dosi scongelate e le hanno suggerito di prendere un taxi. Ma lei non se l’è sentita, era un anno che non usciva per non correre rischi, e ammalarsi proprio sulla strada per il vaccino sarebbe stata una beffa atroce.

Anna ha chiamato suo figlio Carlo, anche lui in attesa di essere vaccinato dall’inizio di febbraio e gli ha chiesto cosa fare. Lui ha deciso che sarebbero andati a piedi, più sicuro. In fin dei conti la strada da percorrere fino all’ospedale era di un chilometro. Carlo si è procurato una carrozzina e ha accompagnato sua madre al traguardo. Per lei il vaccino è stato come una festa, si era vestita elegante e aveva messo anche gli orecchini di perle per celebrare il passo che le potrà restituire il suo piccolo orizzonte di libertà: tornare a prendere il caffè al bar ogni mattina. Carlo invece, che ha solo ottant’anni, dovrà ancora aspettare. Dimenticavo un particolare: la signora Anna Onorati ha 103 anni.

Anna Onorati, 103 anni, vive a Milano; qui è stata fotografata dal figlio Carlo dopo aver ricevuto il vaccino, il 1° aprile scorso

Nata a Napoli il 5 gennaio del 1918, mentre infuriava la Prima Guerra Mondiale e gli austriaci bombardavano pesantemente il fronte del Piave e il Grappa, la signora Anna arrivò a Milano negli anni Settanta, con il marito Franco, dirigente di banca, e i loro tre figli maschi. Vedova da quasi trent’anni, vive in via Solferino poco lontana dalla sede del “Corriere”, è in salute, lucidissima e ha una voce straordinariamente forte e decisa. «Ora vorrei tornare alla mia vita di prima, vorrei tornare ad uscire tutti i giorni e ad andare a prendere il caffè al bar». In quest’anno di reclusione, in cui non ha più visto i nipoti, le ha tenuto compagnia la musica classica.

La curiosità è stata il motore della sua vita: fino a 98 anni non ha mancato una mostra ed è andata tutte le settimane al cinema, per il compleanno dei 96 è andata a mangiare il sushi con i nipoti, era la prima volta ma ha voluto imparare ad usare le bacchette e loro conservano questa foto in cui, molto concentrata, intinge il pesce nella salsa di soia.

La signora Anna intenta a gustare il sushi durante la cena con i nipoti per festeggiare il suo 96° compleanno, nel gennaio del 2014

Suo figlio, Carlo Chianese, dirigente d’azienda in pensione, il 12 febbraio ha aperto la piattaforma Aria per le prenotazioni al vaccino della Regione Lombardia ma registrarsi era impossibile. La piattaforma, come tutti i lombardi hanno sperimentato, era intasata e malfunzionante. Carlo, che aveva lavorato nell’informatica ai vertici di una società del gruppo Olivetti, per due giorni è rimasto davanti al computer, provando in continuazione, prima di riuscire a inserire il suo nome e quello della madre. Si aspettava una risposta, una chiamata, un messaggio, invece per quaranta giorni non è successo nulla. Il 22 marzo, esasperato ha scritto una lettera amara, pubblicata nelle pagine milanesi di “Repubblica”: «Sono molto deluso e arrabbiato, ci aspettavamo il vaccino o, perlomeno, una telefonata, un messaggio di scuse, la data dell’appuntamento, il segno che ci sia qualcosa in corso. La cosa spiacevole è l’assoluta mancanza di chiarezza, non so nemmeno se esistono i nostri dati da qualche parte nel sistema informatico della Regione». Per altri dieci giorni non sarebbe successo nulla.

La lettera era stata pubblicata anche sulla pagina Facebook del giornale, ma invece che provocare indignazione ed empatia aveva scatenato anche commenti deliranti. Li leggo e non posso credere che un pensionato padovano abbia potuto scrivere una frase come questa: «103 anni ed è ancora al mondo! Che rottura di palle questi vecchi eterni, non crepano più».

La signora Anna, grazie al cielo, pur essendo ancora molto curiosa, non frequenta i social e non ha saputo nulla. Io, che invece li frequento ogni giorno, ho scoperto che c’era una donna di 103 anni che ancora attendeva dal commento di una ragazza di nome Margherita a un post su Instagram di Enrico Mentana. Mi sono messo a cercarla per saperne di più.

Margherita Meneghello studia Lettere classiche a Roma, sogna di fare la giornalista, e la signora Anna è la zia di sua madre. Mi racconta che in famiglia scherzavano che la zia Anna sarebbe stata la prima, invece è stata l’ultima. La chiamano spesso e lei è sempre di buon umore e ama i ricordi. Il ricordo più forte della sua vita è quello della notte tra l’8 e il 9 settembre del 1943: era ad Agropoli, nel golfo di Salerno, aveva 25 anni e Carlo, il suo primo figlio, soltanto due. La sera la gente aveva fatto festa per l’annuncio dell’armistizio, si pensava che la guerra fosse finita, anche se in città c’era una divisione tedesca. Invece alle tre del mattino furono svegliati dalle esplosioni: erano gli americani che avevano scelto proprio quel tratto di costa per sbarcare sulla penisola. «C’era una grandissima confusione, trambusto, caos, un’esperienza angosciante. All’alba la baia era piena di navi alleate, Franco ci portò in stazione dove c’era un treno per Napoli e mi disse: “Scappa con il bambino, mettetevi in salvo”».

Quasi ottant’anni dopo sono ancora qui. Di quel periodo napoletano Anna ricorda la povertà: «Mancava tutto, non c’erano acqua ed elettricità». Poi Franco trovò un lavoro al porto per gli americani, coordinava lo scarico delle merci, si procurò dei pezzi di coperte militari e Anna li cucì insieme per fare il primo cappotto di Carlo.

Le chiedo quale sia stata la cosa più bella della sua vita: «La nascita dei miei tre figli, i miei gioielli». Purtroppo uno di loro, Valerio, è mancato quattro anni fa. Mai avrebbe immaginato di vivere un tempo come questo, non riesce nemmeno a parlarne tanto le è sembrata una cosa non pensabile e imprevista. A Capodanno ha voluto festeggiare con Carlo, erano solo loro due ma lei si è messa il golf rosso, le collane etniche, il rossetto e hanno brindato.

Anna brinda all’arrivo del 2021: festeggia il Capodanno in casa sola con il figlio Carlo

La mia ultima curiosità è su cosa si aspetti dal futuro, come lo immagini, la signora Anna non risponde parlando di lei, ma di tutti: «Immagino un periodo di pace, come quando finì la guerra, un’epoca di ricostruzione. Quelli sono stati gli anni più belli della mia vita, vi auguro un periodo di ripresa e di pace».

Altre/Persone

Ci sono altre storie da raccontare su questo stesso tema.

Lo scrittore notturno

Sarò la tua memoria

Per Andra la memoria profuma di pane

Finché giustizia non sarà fatta

Ci sono altre storie
da raccontare

Iscriviti alla mia newsletter per riceverle in anteprima  e gratuitamente ogni settimana

I tuoi interessi: cosa segui?

Sei più interessato al passato o al futuro?

ISCRIVITI/NEWSLETTER

Iscriviti alla mia newsletter per ricevere storie come questa in anteprima. ☕️ Ogni venerdì mattina, in tempo per il caffé.