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4 Novembre 2022

Ricucire la vita

La storia di Abdullah Khaliqi, detto Alì, che racconto nel mio ultimo libro "Una volta sola" è una di quelle a cui sono più legato. Vi dico il perché.
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Quanto tempo serve per ricostruire la storia di una vita, per mettere insieme tutti i frammenti di memoria necessari per comporre il disegno completo? Certo non un pomeriggio, ma quando Alì ha cominciato a raccontare non avrei mai immaginato che ci saremmo dovuti vedere altre diciannove volte. Venti interviste per trasformare un’etichetta – “profugo afghano” – nella complessità di un’esistenza piena di sfumature. Una vita che è stata un pellegrinaggio senza sosta, cominciato dalla sua famiglia, una famiglia di sarti, quando lui aveva solo due anni. Non avevano sogni ambiziosi, ma molto semplici: la ricerca di un po’ di pace e di un luogo tranquillo in cui fosse possibile lavorare, e vivere.

Abdullah Khaliqi, detto Alì

Abdullah Khaliqi, detto Alì, ha 38 anni, vive a Torino e ha un piccolo negozio di sartoria nel centro della città. È noto tra i suoi clienti per la sua precisione e la sua gentilezza, tutti lo salutano ma nessuno gli fa domande, forse per discrezione sabauda, forse perché non siamo abituati a interrogarci sulle storie delle persone. Io, una mattina, dopo che ero già entrato nel suo negozio almeno un paio di volte per farmi sistemare un orlo o mettere le toppe a un buco sul maglione, ho preso coraggio e gli ho chiesto da dove venisse. Mi ha spiegato che era afghano di Kabul e da quel momento è cominciato un dialogo che sarebbe durato per quasi un anno, fatto di chiacchierate lunghe e distese, di incontri brevi e faticosi e anche di lunghi silenzi.

Alì, come molte persone che hanno vissuto situazioni difficili, non sempre riusciva o voleva ricordare, io non lo forzavo mai, stavo zitto, a volte ci salutavamo così, senza dire nulla. E, dopo un po’, lui mi chiamava, pronto a proseguire il suo racconto.Mai, nella mia vita di giornalista, mi era capitato di andare così a fondo intervistando una persona, e quando ho cominciato non pensavo neanche lontanamente che quel racconto sarebbe diventato un lungo capitolo del mio nuovo libro.

Insieme ad Alì all’interno del suo negozio “TuOrlo” a Torino

La complessità della sua esistenza, la quantità di dettagli, incontri, speranze e dolori che Alì mi ha raccontato hanno dato forma, settimana dopo settimana, a una vita straordinaria, fatta di gesti di coraggio, attenzioni e generosità. Una vita che stupisce chiunque voglia allontanarsi dalle semplificazioni del nostro tempo. Pensate a quante se ne potrebbero applicare ad Alì, riducendolo a un numero, uno dei tanti: “profugo”, “clandestino”, “illegale arrivato su un barcone”, “richiedente asilo”… Perché Alì è stato tutte queste cose.Oggi davanti agli occhi ho un uomo che è riuscito ad aprire un suo negozio, a mettere su casa, a spedire ogni mese i soldi ai suoi genitori che ora vivono in Iran e che il mese prossimo si sposerà con Breshna – significa “luce” –, una ragazza afghana laureata in legge è fuggita da Kabul grazie a un aereo militare italiano quando i talebani sono tornati al potere.

Alì al lavoro nella sua sartoria a Torino

Alì è riuscito a conquistarsi una vita serena e normale, quella che sognavano i suoi genitori, perché ha trovato persone che nei momenti più difficili hanno allungato una mano e non l’hanno lasciato affondare. È accaduto quando nel bosco al confine con la Bulgaria una voce gli ha detto di cambiare direzione per non essere colpito dalle guardie di frontiera; è successo quando l’amico Ahmad lo ha trascinato sulla coperta della barca che li stava portando in Italia, per evitare che soffocasse; quando il sindaco di un paese calabrese lo ha ospitato nella casa di una vecchia zia da poco scomparsa; quando una coppia di professori in pensione della Val Pellice hanno impedito che dormisse alla stazione di Torino, o al parco, e gli hanno aperto le porte di casa; quando un gruppo di amici ha garantito con l’agenzia per l’affitto del negozio. Il suo racconto mi dice che gli altri possono fare la differenza. Gli altri siamo noi.

La storia di Alì, dodicesimo capitolo di “Una volta sola”, è una di quelle a cui sono più affezionato e un esercizio di paziente ricostruzione del percorso di una vita, il lavoro che mi rende più felice.

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