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16 Settembre 2021

La sfida di Paolo, da 40 anni in sella a una bici

Quarant’anni fa E.T. cambiava la vita di mio fratello. Che, da allora, non è mai più sceso dalla bicicletta. La settimana scorsa, sempre in sella, ha partecipato alla gara più estrema d’Europa: un percorso segreto fino alla partenza, zero supporti, cinque giorni in mezzo al niente, vince chi non si ferma, nemmeno per dormire. No, non ha vinto, ma è arrivato in fondo e ha imparato che non esistono sentieri abbastanza lunghi per aggirare i problemi.
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Tutto è cominciato il giorno di Sant’Ambrogio del 1982, in un cinema milanese. Ci portarono a vedere E.T. l’extra-terrestre, mio fratello Paolo aveva 11 anni e l’immagine del film che si sarebbe portato dietro tutta la vita era quella dei bambini che fuggono liberi e poi volano con le loro biciclette. Un tipo particolare di bici, molto più sportiva di quelle che avevamo avuto fino ad allora. Tornato a casa Paolo cambiò la letterina a Babbo Natale e chiese di averla in regalo. La trovò fuori dalla porta la notte di Natale, ci salì in sella felice ed è come se non fosse mai più sceso. Ho pensato a quel bambino che pedalava in cortile tutti i pomeriggi, con qualunque tempo, obbligato da mia madre a farlo con il cappotto d’inverno, mentre seguivo la sua traccia satellitare sul telefono. Per cinque giorni e quattro notti è stato un puntino che si muoveva tra strade desertiche, canyon e montagne nel sud della Spagna nella gara ciclistica più folle d’Europa.

Il percorso da affrontare durante la Badlands

Quasi quarant’anni dopo le conseguenze di quel giorno di dicembre continuano e quel pomeriggio al cinema ha davvero dato una direzione alla sua vita. Mi piace pensare che nell’esistenza di ognuno di noi ci siano incontri casuali, incroci fortunati, storie non previste o anche rotture che rappresentano un bivio e ci fanno imboccare una strada che ci porterà lontano, su un percorso che mai avremmo immaginato.
Ricordo la faccia di mia madre, seduta in cucina, quando Paolo le annunciò che avrebbe abbandonato architettura a sei esami dalla laurea per andare a lavorare in una fabbrica di biciclette dove avrebbe montato manubri. Presto però sarebbe stato capace di trasformare la sua passione in un lavoro fino a diventare direttore marketing dell’area sport di Enervit.
Ma anche quando apparentemente è la vita che sceglie, ciò accade sempre seguendo un disegno che parla di noi. Paolo fin da bambino ha sofferto di una forma leggera di claustrofobia e per lui la bici, “l’aria in faccia”, è stata la risposta e la soluzione. 

Così è accaduto anche ad ottobre dello scorso anno, quando si è ammalato di Covid: «Sono stato a letto 21 giorni, recluso in camera perché il resto della famiglia era negativa. Ho vissuto quel periodo come una prigione, avevo la febbre e mi sentivo soffocare, allora per evadere ho iniziato a navigare tra siti e riviste online e mi sono imbattuto in un articolo che parlava di questa gara fuoristrada nel sud della Spagna, dove ci sono gli ultimi due deserti d’Europa, quelli dove Sergio Leone girava i suoi film western. Si chiama Badlands, sono 750 chilometri di sterrato con 15mila metri di dislivello, da fare in totale autonomia e senza il minimo supporto. Alla partenza l’organizzazione ti consegna solo una traccia da seguire e indicazioni sul percorso, devi arrangiarti su dove fermarti, quando mangiare e se, dove e come dormire».

Due scorci del deserto del Gorafe che si attraversa durante la gara

«La notte in cui ho letto l’articolo ho scoperto che avrebbero aperto le iscrizioni una settimana dopo e che c’erano pochissimi posti disponibili, così allo scoccare della mezzanotte del giorno prestabilito mi sono iscritto, ho pagato la quota di 200 euro, e da quel momento non ho più smesso di pensarci: è diventato il mio sogno per il 2021, l’anno in cui ho compiuto 50 anni».

Paolo percorre ogni anno almeno 10mila chilometri in bicicletta ma non si è mai allenato per le lunghe distanze e non ha mai pedalato di notte, così da subito si è reso conto che non avrebbe mai avuto la preparazione per una corsa di quel tipo: «Questa estate ho cercato di pedalare tutti i giorni e nelle ore più calde, per abituarmi, ma ho capito che non sarei stato pronto fisicamente allora ho pensato che avrei dovuto esserlo mentalmente, che forse è anche più importante. Ho fatto un lungo lavoro sulla mia testa per preparami alla difficoltà psicologica, agli inconvenienti.
Una frase mi ha aperto il cervello, scritta da un uomo che fa le ultra maratone in montagna: “se tu cerchi di respingere il più a lungo e il più possibile il momento del dunque, che è la crisi, non arriverai mai in fondo, se invece, quando arriva il crollo, lo accogli e lo accetti e ti convinci che fa parte del tuo percorso, allora raggiungerai il traguardo”. Ho cercato di capire fino in fondo questa idea e per me non è stato facile perché io sono uno che si arrabbia sempre se le cose non vanno come era previsto».

Paolo in un attimo di sosta durante la gara
La bicicletta di Paolo

Alla partenza, il 5 settembre, si è guardato intorno e si è reso conto che i 260 partecipanti erano tutti giovani e lui di gran lunga il più vecchio, allora per consolarsi si è detto: «Forse però sono il più saggio» e ha ripassato gli insegnamenti di Bruno.
«La persona che mi ha aiutato di più prima di partire è stato Bruno Ferraro, un ragazzo molto tranquillo di Bassano del Grappa, che l’anno scorso è arrivato quinto. Gli ho scritto su Strava, il social dei ciclisti, e lui mi ha dato molti consigli. Ogni due mesi lo chiamavo con un elenco di domande: i materiali da portare, il tipo di bagaglio, che bici usare e come prepararla ma soprattutto quali sarebbero state le cose più difficili da affrontare a cui prepararsi. Mi ha sempre risposto con pazienza e questo mi è servito tantissimo. Il primo giorno ho pedalato sempre da solo per 172 km e quando ha fatto buio mi sono fermato a cenare in un minuscolo paesino a metà del deserto del Gorafe, avevo una fame incredibile e ho mangiato 8 bistecche di maiale, ognuna messa su una fetta di pane con il pomodoro. Mentre masticavo mi sono messo a leggere la traccia del percorso e mi sono reso conto che mi aspettava una salita mostruosa in mezzo al deserto: troppo rischioso. Allora ho deciso di fermarmi a dormire lì per poi partire all’alba. Il proprietario del ristorante mi ha concesso di dormire nel patio, così avevo anche la sicurezza del bagno e una colazione. Il problema è che, nonostante mi fossi vestito con tutto quello che avevo, sono stato massacrato dalle zanzare e, siccome sono un po’ allergico, mi si è gonfiato tutto».

Le 8 bistecche mangiate da Paolo per recuperare le energie

Dal secondo giorno ha cominciato a trovare dei compagni di viaggio: «Il primo che ho incontrato è stato Sebastian, che di cognome fa David Lopez ed è un artista colombiano di 35 anni che vive in Danimarca. Ha bucato 16 volte ma non si è mai arrabbiato, ha un karma invidiabile e con pazienza ogni sera si riparava le camere d’aria con le toppe. 
Ci siamo superati due o tre volte, lui che è un ottimo scalatore mi passava in salita ma poi regolarmente bucava. Ogni volta mi fermavo a vedere se tutto era a posto. Io non ho mai forato e non mi è mai caduta la catena però ho quindici anni di più e così l’ultima volta è stato lui a raggiungermi mentre io mi ero fermato all’ombra perché ero sfinito. Da quel momento abbiamo pedalato insieme e questo aiuta tantissimo: dividi ogni preoccupazione e ogni stress, ogni decisione di percorso, ma soprattutto le angosce e le paure. Ci siamo lavati nelle fontane e insieme abbiamo cercato cibo e un posto dove dormire». 
Al tramonto del secondo giorno, dopo 120 km, sono arrivati a Gergal, alle porte del deserto di Tabernas e da lì Paolo mi ha mandato questo messaggio: «Tutto bene, abbiamo appena svaligiato un supermercato, abbiamo preso frutta, tacchino, formaggio, pane e nella prima mezz’ora ho bevuto due lattine di Coca Cola, un litro di succo di arancia e un litro e mezzo d’acqua. Poi ci siamo spostati al ristorante dove ho mangiato un arroz (riso) e cordero (carne) alla piastra con patate».

Paolo insieme a tre dei suoi quattro compagni di viaggio incontrati lungo il percorso (da sinistra Sebastian, Ricardo e Jordi)
Jordi nel deserto di Tabernas

Il terzo giorno si è unito a loro anche Ricardo Torao, un trentenne portoghese e sudafricano che vive a Manchester e ha fatto il calciatore in Germania, Cina e Inghilterra. «L’avevo conosciuto il primo giorno: era fermo con i crampi al bordo della strada, allora gli avevo dato due pastigliette miracolose, due capsule di sodio, banale sale da cucina e gli avevo detto: bevi tanto e riparti tranquillo e entro un’ora sarai a posto. Lo rivedo la sera del terzo giorno, mi viene incontro e mi grida: “Paulo”. Aveva appena fatto una deviazione per andare in un ristorante consigliato da un pastore che per 12 euro gli aveva servito una cena di quattro portate. Da quel momento siamo diventati tre».

Il quarto giorno ecco il quarto nuovo amico: Jordi Pantin, spagnolo di Girona. «Aveva passato una disavventura incredibile mentre cercava di attraversare da solo di notte il deserto del Gorafe. Su una salita era crollato, allora si era buttato a lato della strada e si era messo a dormire accanto al muretto di quello che doveva essere stato un ricovero di animali. Aveva gonfiato il materassino, si era tolto calze e scarpe, aveva fatto una foto da mandare al suo migliore amico, e si era infilato nel sacco a pelo. Dopo un paio d’ore aveva aperto un occhio, svegliato da un rumore, e aveva visto che c’era una scarpa sola. Si era alzato, aveva montato la pila frontale e si era messo a cercare, ma non aveva trovato niente. Si era rimesso nel sacco a pelo ad aspettare l’alba. Poi si era alzato, si era infilato le calze e aveva visto che erano tutte bucate. Così, senza una scarpa, si era rimesso a pedalare per 15 chilometri su una strada sterrata. Arrivato al primo paese aveva cercato un negozio di scarpe, ma non ce n’erano, allora aveva telefonato a quello più vicino dove ne avevano solo un paio: da trekking e di un numero più piccolo del suo. Mentre era in taxi in direzione del negozio l’aveva chiamato l’amico a cui aveva mandato la foto la notte prima: “Jordi ma hai visto chi c’era con te a dormire? Ingrandisci la foto che mi hai mandato: c’è una gigantesca volpe!”. Ecco chi aveva mangiato le calze e rubato la scarpa».

Un ospite inatteso nella notte, una volpe

L’ultimo giorno incontrano anche Adrian, catalano, che era appena ripartito dopo aver passato 12 ore a letto per la dissenteria. «Alla fine del secondo deserto, assetato e con le borracce vuote, aveva trovato una fonte di acqua non potabile, ma aveva bevuto lo stesso ed era stato malissimo. Per noi il momento più faticoso è stato quando siamo arrivati ad Almeria, una delle maggiori città dell’Andalusia. Ci hanno consigliato di non dormire per strada perché c’era il rischio che ci rubassero le bici. Ma di fronte avevamo una salita di 15 km, poi altri dieci di buche e sassi e finalmente un paesino a 700 metri d’altezza. Siamo andati a mangiare in una hamburgheria e a tavola abbiamo deciso che alle 23 saremmo ripartiti. La salita si è rivelata immediatamente la peggiore di tutto il percorso: massi, sassi, interi tratti da fare a piedi. I miei compagni a turno si sono fatti prendere dallo sconforto e dicevano che dovevamo buttarci a dormire a lato della strada. Qui ho capito cosa vuol dire essere il più vecchio: ho ripetuto a tutti “non mollate, altrimenti ci tocca farlo al sole e sarà ancora peggio. Siamo arrivati alle 3 di notte e ci siamo buttati per terra a dormire nella piazza centrale del paese».
Per Paolo il momento più difficile è stato a sette chilometri dall’arrivo, gli si era scaricato tutto: telefono, navigatore e si è perso in una boscaglia. «Pensavo di avercela fatta, ero solo, mi ero rilassato e mi è preso uno sconforto totale. Ma alla fine sono arrivato dopo un viaggio incredibile lungo 4 giorni 16 ore e 45 minuti. Sono arrivato 65esimo, quattro partecipanti su dieci si sono ritirati».

Oltre alle difficoltà la Badlands regala una luce e paesaggi mozzafiato
Una vecchia poltrona abbandonata nel deserto

«Non dimenticherò mai i paesaggi, i due deserti, ma soprattutto la luce e il vento. Non dimenticherò mai una poltrona in mezzo al nulla, le vesciche sulle mani, la sabbia negli occhi, le dita insensibili e aver respirato talmente tanta terra e sabbia che mi sembrava di avere la tonsillite e facevo fatica a deglutire il cibo. Non so se lo rifarò, perché quando sai cosa ti aspetta allora è più dura e non puoi più illuderti. Ma è stata un’esperienza indimenticabile, la cosa più bella che ho fatto in quarant’anni in sella. Un senso di libertà mai provato».

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