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20 Aprile 2020

La Maturità sul campo

L'epidemia incombe sugli esami. Nel 1943, invece, a farli saltare fu la guerra. Tra gli studenti che sfuggirono a questo rito di passaggio c’era Virginio Rognoni. L’ex ministro racconta di sé e dei compagni, della loro “ingenua libertà” e di come sia stato il conflitto a farli crescere presto
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«Devo precisare che io, la Maturità, non l’ho fatta…». Così ha esordito lo scorso giugno, intervenendo come ospite d’onore alla festa annuale degli studenti del Liceo classico “Ugo Foscolo” di Pavia. Immaginate lo stupore di docenti e diplomati di vecchia e nuova generazione nell’apprendere che lui, Virginio Rognoni, ex allievo illustre di quell’istituto, era sfuggito al rito di passaggio per antonomasia. «Era il 1943 – ha spiegato subito dopo – e la guerra si avvicinava sempre di più alle nostre case, alle nostre vite. Per questo, le scuole vennero chiuse il 15 maggio e gli esami saltarono. Il diploma ci fu rilasciato sulla base degli scrutini finali, con i voti assegnati dai nostri insegnanti».

Virginio Rognoni (ritratto di Marta Signori)

Classe 1924, Rognoni è la dimostrazione che si può fare molta strada anche senza essere passati per le notti insonni prima delle prove scritte e orali: è stato professore universitario, esponente di spicco della Democrazia cristiana, ministro dell’Interno, della Giustizia e della Difesa; ma è stato anche vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura e padre, insieme a Pio La Torre, della legge che costituisce la pietra miliare della nostra normativa antimafia. Eppure, nemmeno lui avrebbe mai immaginato che ai maturandi del 2020 sarebbe toccata una sorte simile alla sua.

A cancellare gli esami nella loro formula tradizionale, questa volta, è stata l’epidemia che da settimane costringe mezzo mondo alla quarantena. Anche Virginio Rognoni è chiuso nella sua casa a Ca’ della terra, quartiere di villette, cascine e tanto verde alla periferia di Pavia. Con lui c’è la più grande dei suoi nipoti, che porta il suo nome e che tra qualche giorno si laureerà in Giurisprudenza: «Io sarò l’unico ad assistere di persona alla discussione della tesi e alla proclamazione», annuncia orgoglioso il nonno. La tecnologia, infatti, permette piccoli miracoli come quello di laurearsi via Skype. E – sebbene il ministero dell’Istruzione assicuri che almeno i colloqui “in presenza” verranno preservati, qualora vi siano le condizioni di sicurezza – un’interrogazione in video-collegamento potrebbe essere la soluzione estrema anche per far sostenere una Maturità ridotta ai ragazzi delle scuole superiori. Ma nel 1943 tutto questo non era possibile. D’altra parte, l’intero scenario era diverso: la guerra e il virus non sono paragonabili.

«A dire il vero – ricorda Rognoni – l’avevo già fatta franca nel 1940. Frequentavo la quinta ginnasio e alla fine dell’anno avrei fatto l’esame, che oggi non esiste più, per l’ammissione al triennio liceale. Il 10 giugno, però, Benito Mussolini dichiarò l’entrata in guerra dell’Italia e la sessione fu annullata». Ma torniamo al 1943. Il percorso scolastico proseguì in una relativa normalità fino al 15 maggio, giorno in cui le lezioni vennero definitivamente sospese: «Quando ci comunicarono che non avremmo dovuto affrontare la Maturità, ci sentimmo sollevati. Quella prova molto severa ci spaventava». Così, l’ex ministro descrive quei mesi come un periodo, malgrado tutto, felice: «Ci sentivamo liberi, in una sorta di “leggerezza nella vita”, perché fuori da ogni istituzione protettiva e ordinatoria. Ma era una libertà ingenua, lo capimmo presto. La guerra che avanzava inesorabilmente ci rendeva “maturi” sul campo». A luglio, infatti, lo sbarco degli angloamericani in Sicilia e la caduta del governo fascista aprirono una nuova fase del secondo conflitto mondiale nel nostro Paese.

Giugno 1942. Virginio Rognoni (il primo da sinistra) con gli amici, durante una gita in bicicletta da Pavia a Biella e poi al Santuario di Oropa

Quanto al contesto politico e sociale a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta, spiega Rognoni, «la composizione stessa delle classi scolastiche era lo specchio inevitabile di ciò che stava fuori, nella società. Pochi erano i compagni antifascisti, come me, per tradizione e storia famigliare; la maggioranza era “ben pensante” e ha aperto gli occhi solo quando fu chiaro che la decisione di Mussolini di andare in guerra era basata sulla congettura scellerata che la vittoria fosse dietro l’angolo, dopo la sconfitta e l’armistizio della Francia. L’Europa corse veramente il pericolo di una immane tragedia: l’unità sotto il segno e il comando del nazifascismo».

Tra gli alunni del Liceo “Foscolo” di Pavia, insieme a Rognoni, ci furono figure eminenti come Enrico Magenes, matematico di fama mondiale, allievo della Scuola Normale di Pisa e partigiano, o come Massimo Del Bo, docente universitario e insigne audiologo. Nei racconti dell’ex ministro, poi, ci sono gli insegnanti: «Antifascista era anche la nostra professoressa di italiano, bravissima; purtroppo non ne ricordo il nome, scherzi dell’età, ma ho memoria dell’ultima indicazione che ci diede di una lettura utile per quell’estate del 1943: “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati. Un libro, certamente, non gradito al regime».

Mentre ai giovani dell’epoca rimase la possibilità di incontrarsi, ai ragazzi di oggi la socialità è stata preclusa all’improvviso. Un aspetto su cui Rognoni si sofferma, sottolineando come, pur con le cautele necessarie per garantire quel bene di inestimabile valore che è la salute, la vita collettiva non possa essere bloccata a lungo. E per lui – che assunse la guida del Viminale nel giugno del 1978, un mese dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro – il confronto con gli anni di piombo scatta automaticamente: «Spesso la gente mi chiedeva se potessi prevedere quando sarebbe finito il terrorismo. “Dopo che sarà stato compiuto l’ultimo atto terroristico”, rispondevo. Era un modo paradossale per dire che non lo sapevo. Però, sapevo che ne saremmo venuti a capo, che avremmo sconfitto quel fenomeno e che ci saremmo riusciti nel rispetto scrupoloso della democrazia e delle sue regole. E così è stato. Allo stesso modo, con lo sforzo di tutti, comunità scientifica e comunità politica, usciremo dalla pandemia che ora affligge il mondo e lo spirito comunitario che caratterizza questa lotta sarà come ossigeno anche per la democrazia del futuro».

La guerra, il terrorismo, la quarantena. C’è soprattutto una cosa che Virginio Rognoni ha imparato dalle sue esperienze e che vuole ribadire in vista del 25 aprile: «Celebriamo la Liberazione, la libertà. Perché la libertà è il valore, il bene più importante di tutti».

*Anna Dichiarante ha studiato Legge e giornalismo. Ha iniziato come collaboratrice de “L’Espresso” per poi arrivare a “la Repubblica”, dove ha lavorato per tre anni. Ora, insieme a Mario Calabresi, si occupa della parte redazionale di questa newsletter

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