Il battello che dalla città portuale di Tulcea, in Romania, conduce alla riserva naturale del delta del Danubio, lascia imbarcare al massimo quattro auto. La superficie è piccola, il tragitto è breve. Al di là della riva, chilometri di strada sterrata e dissestata accompagnano allevamenti di mucche e agnelli. Fagiani e cornacchie. La polizia di frontiera aspetta in una casupola ricavata da un container: vogliono accertarsi che chi si mette in viaggio lungo quel percorso non faccia foto, video o che sia complice di contrabbandare la biodiversità del parco. Al chilometro cinque, Plauru. Un villaggio di tre abitanti e quattro abitazioni che guardano sul fiume, vicine di casa di Izmail, la città ucraina attaccata pochi giorni fa dall’esercito russo.

Le due terre di confine sono così vicine, nonostante il corso d’acqua nel mezzo, che a occhio nudo si possono intravedere i palazzi e le ciminiere delle industrie di quel Paese ora in guerra. Adriana, ex infermiera, è lì in piedi vicino alla staccionata di casa. Indossa un foulard colorato attorno alla testa, cammina con l’aiuto di una stampella. Con lei Gheorghe e Ian nei loro colbacchi: ex operai dell’industria mercantile navale. Abitano quei luoghi da sempre, chiusi in una sorta di bolla temporale che a volte non coincide coi nostri tempi. Allevano cavalli e galline e i bombardamenti li hanno sentiti distintamente, così come le sirene antiaeree.


È successo tutto durante la notte, quando il buio è stato squarciato da bagliori rosso fuoco. Oltre al frastuono dell’attacco militare, a un certo punto hanno sentito strani movimenti tra gli alberi: una sagoma indistinta si faceva spazio tra la sterpaglia. Un ragazzo, 30 anni appena: era scappato nel corso del bombardamento in direzione del Danubio e ha raggiunto l’altra sponda a nuoto, indossando una muta da sub. Non un militare, ma un civile, ha cercato aiuto e lo ha trovato in Adriana, e nei suoi amici di lunga data che gli hanno offerto tè caldo e coperte, prima di chiamare la polizia e l’ambulanza per farlo scappare per sempre. Intanto Ian ha dovuto mettere in secca la sua barca verde: è irritato. Niente più pesca significa dover prendere una macchina, o il carretto coi cavalli, e guidare per decine di chilometri prima di poter raggiungere il primo alimentari che possa assicurare il pasto giornaliero. Ma in quella zona del fiume la navigazione è stata interdetta per il pericolo di attacco da parte dei russi.


Tutta l’area di Plauru è stata classificata zona sensibile ai bombardamenti dalle autorità. I tre paiono risoluti, non hanno paura: «Qui siamo in Europa, ci hanno detto di stare tranquilli e noi lo siamo». Nessuno ha chiesto loro di abbandonare le abitazioni per precauzione, così come non lo hanno chiesto a chi abita Chilia Veche, la cittadina alla fine della riserva per metà rumena e per metà ucraina. L’indicazione è di continuare a fare la propria vita di sempre, senza allarmarsi. Un solo consiglio, da parte di chi pattuglia l’area: in caso di bombardamenti è preferibile chiamare il 112.
*giornalista freelance