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22 Luglio 2021

Pietra su pietra: la vita quando non è più notizia

Raccontare quello che accade quando si spengono i riflettori è una forma di giornalismo importante e poco praticata. Una emozionante mostra fotografica del collettivo TerraProject testimonia 5 anni di rinascita delle comunità colpite dal terremoto di Amatrice. E lo fa partendo proprio da quella terra
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Le storie della cronaca durano tre giorni, se il fatto è particolarmente grave e terribile anche una settimana, nel caso sia una catastrofe si può arrivare ad un mese. Poi il grande circo delle telecamere, dei fotografi e dei giornalisti smonta le tende e si trasferisce altrove. La nostra attenzione è già da qualche altra parte, ma le conseguenze dei fatti invece restano lì a fare il loro lavoro e spesso il loro fardello dura anni, se non una vita. Da sempre mi interrogo su che fine abbiano fatto le storie che abbiamo ascoltato: che ne sarà, per esempio, del bambino sopravvissuto all’incidente della funivia del Mottarone e dove saranno adesso i responsabili? I miei libri nascono sempre dalla ricerca dei fili che legano le storie del passato e le portano ad oggi, dieci anni fa a La Stampa ci inventammo una rubrica che tornava sui grandi fatti di cronaca e dava risposta alla domanda: “Che fine hanno fatto?”.

Accumoli novembre 2016 (credits: TerraProject)

Il giorno del terremoto di Amatrice, avvenuto il 24 agosto 2016, decine di fotografi e centinaia di giornalisti e telecamere corsero tra le montagne per raccontare un paese, anzi molti paesi cancellati da una prima lunghissima scossa. Tra loro c’era Rocco Rorandelli: «Sentii le scosse e partii da Roma, salendo dalla Salaria arrivai subito a Saletta, dove era crollato un agriturismo e c’erano sono state un sacco di vittime, poi feci tutte le frazioni interne e, solo dopo il tramonto, arrivai ad Amatrice mentre stavano tirando fuori le persone dalle macerie».
Io dirigevo Repubblica e quella sera, quando il giornale era finalmente andato in stampa, mi fermai a parlare con la photo editor, Giulia Ticozzi. Era una cosa che facevo spesso, mi piaceva chiederle se al di là delle urgenze della giornata, avesse incontrato qualche immagine particolare e lei aveva sempre qualcosa di speciale, spesso erano storie realizzate da fotografi giovani con un punto di vista inedito. Quella sera invece provammo a immaginare qualcosa di diverso, costruire da subito un lungo lavoro di testimonianza, che non abbandonasse le persone dopo pochi giorni ma che li seguisse per un anno. Giulia, insieme ad Angelo Rinaldi art director del giornale, decise che il collettivo TerraProject, di cui fanno parte Michele Borzoni, Simone Donati, Pietro Paolini e Rocco Rorandelli, fosse il più adatto per sensibilità e esperienza.

Villa San Lorenzo a Flaviano, marzo 2018, i resti di un edificio parzialmente crollato (credits: TerraProject)
Amatrice, aprile 2021, una vista aerea della zona meridionale della città, con i cantieri di ricostruzione dei primi edifici (credits: TerraProject)

«Pochi giorni dopo il terremoto siamo tornati tutti e quattro qui ad Amatrice – mi racconta Rocco – e ci siamo divisi le zone per provare a raccontare cose diverse. La sera ci confrontavamo per capire quali storie fossero più forti e insieme ai giornalisti si decise di seguirne quattro per dodici mesi. Adottammo due famiglie, una scuola, una frazione e promettemmo di tornare a raccontarle ogni mese per vedere come stavano, cosa ne era delle loro vite». 

Alla vigilia del quinto anniversario sono venuto con Rocco ad Amatrice, per due giorni abbiamo viaggiato sui luoghi del terremoto, siamo partiti dallo spazio vuoto dove un tempo c’era l’edificio scolastico: «Era una delle storie più “forti” perché, parlando con i genitori, emerse che “i grandi” se ne sarebbero anche andati ma i figli chiedevano di restare, per non perdere i compagni, gli insegnanti e la classe. Questo significava vivere nelle tende, che per alcuni divennero poi dei container, per altri delle roulotte dove passare l’inverno. Era una scelta difficile ma serviva a mantenere una normalità almeno per i più giovani. La scuola abbiamo continuato a raccontarla in vari modi, sia seguendo le lezioni che concentrandoci sulla vita di alcuni alunni, sulla loro quotidianità, dal prepararsi per andare a lezione ai compiti. Nelle piccole frazioni avevano costruito dei locali in legno dove i bambini si riunivano tutti insieme con le mamme e le nonne che, mentre loro studiavano, facevano la maglia». 

Amatrice, novembre 2016, durante la ricreazione nella scuola di Amatrice a San Cipriano (credits: TerraProject)
Accumoli, gennaio 2017, l’allevatore Marco Acquistucci nella sua roulotte (credits: TerraProject)

«Abbiamo adottato il paese di Accumoli, la sua trasformazione e la nascita della S.A.E. (acronimo che significa Soluzioni Abitative in Emergenza), dove sono raggruppate non solo le case ma anche le attività commerciali. Un’altra storia che abbiamo seguito è quella della famiglia Lauri, di Arquata del Tronto. Vincenzo, il padre, lavorava nei boschi, ma era sfollato al mare con la moglie e due figlie. Ogni mattina tornava per curare il bosco, fare legna e cercare di mettere in moto quel trattore che non partiva mai. Con Vincenzo sono rimasto in contatto, anche se adesso non lo si fotografa più però ci si va a prendere un caffè quando si passa da Arquata. Ci si trova sulla Salaria e si va al bar». 

Accumoli, dicembre 2016, il Centro Operativo Comunale sulla Salaria (credits: TerraProject)
Pantano di Accumoli, luglio 2020, Giuliano Coltellese in mezzo alle sue vacche, che nei mesi estivi vivono in quota allo stato brado ai confini tra Marche, Lazio e Umbria (credits: TerraProject)

Per dodici mesi i quattro fotografi seguirono questa storia, mostrando le conseguenze del sisma, poi il progetto si concluse. Ma i TerraProject non smisero di salire ad Amatrice, continuarono a tornare e lo hanno fatto per cinque anni, fino ad oggi, costruendo una storia corale che è intima, delicata e potente allo stesso tempo. Che è giornalismo nella migliore delle interpretazioni
«Sono stati i rapporti umani che ci hanno spinti a continuare. Quando è finito il lavoro ci siamo detti: “Beh, siamo stati qui un anno, si può stare anche un altro”, e poi un altro ancora e così siamo arrivati a cinque. La loro storia è diventata la nostra storia».

Amatrice, luglio 2017, tenda mobile allestita al “Villaggio Lo Scoiattolo” (credits: TerraProject)
Accumoli, ottobre 2018, due residenti dei moduli S.A.E. si incontrano la mattina sulla strada principale (credits: TerraProject)

Ora questo lavoro è diventato una mostra in sette tappe con più di 120 immagini, che inaugura oggi e si sviluppa tra Amatrice e Accumoli, con il titolo “Di semi e di pietre. Viaggio nella rinascita di un territorio”, e si potrà visitare fino al 5 settembre. 
«Il motore di tutta l’operazione – aggiunge Giulia Ticozzi che ha curato la mostra – è questa idea di restituzione e non di semplice prelievo di storie, un modo per condividere memoria e tenere i riflettori accesi. Avremmo potuto farla a Rieti, Roma, Milano ma abbiamo deciso che in primis, chi doveva “valutare” questo lavoro fossero i protagonisti delle storie che i fotografi hanno raccontato».
È potente questa idea di portare le fotografie là dove questa narrazione è stata raccolta, costruita e pensata e anche la selezione delle opere, esposte all’aria aperta, è fatta con uno scopo preciso: lasciare poche immagini relative alla tragedia per far emergere un aspetto di futuro e di speranza.

La mappa della mostra itinerante “Di semi e di pietre. Viaggio nella rinascita di un territorio” che inaugura oggi ad Amatrice (credits: TerraProject)

Il titolo della mostra parla di futuro (i semi) e di pietre, perché le fotografie sono “piene di pietre”. «Pietre dovute al sisma e al territorio montano. Pietre che ricostruiscono una memoria che deve rimanere indelebile ma che anche orientano chi guarda verso una nuova speranza e ottimismo: tra queste rocce germogliano i sogni ed i desideri di quelli che hanno resistito in questi anni. Ragazze e ragazzi, donne e uomini, anziani e bambini che vivono ancora in condizioni precarie ma che ogni giorno si prendono cura della propria terra, della propria comunità come semi pronti a germogliare».

Un’immagine dell’allestimento della mostra (credits: TerraProject)

Io non ero mai stato ad Amatrice dopo il terremoto, ci sono arrivato con Rocco per raccontare le storie che hanno seguito e per raccogliere le voci in un podcast che uscirà nei giorni dell’anniversario ad agosto. Ho incontrato una forza caparbia, persone che guardano solo avanti e non si arrendono anche se i motivi per farlo non mancherebbero. Se riuscite, quest’estate passate da queste parti, se siete a Roma, in Umbria, nelle Marche, in Abruzzo, sulla costa adriatica, allungate il percorso, venite a vedere la mostra, i panorami, a camminare, a mangiare un piatto di amatriciana, a far sentire a chi ancora ha le macerie negli occhi e davanti agli occhi che non è solo. È qualcosa di prezioso e speciale, ne vale la pena.

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