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24 Settembre 2020

Pedalando nell’Europa trasformata dalla pandemia

Lori ha 68 anni e ama l’avventura. Questa volta ha sfidato i suoi limiti e si è messa in viaggio, in sella a una bicicletta, per andare da Amsterdam a Roma. Un pellegrinaggio grazie a cui ha scoperto come il Covid-19 ha cambiato le nostre vite. E anche un modo per sostenere una causa benefica
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«Ci sono stati giorni in cui mi sono dimenticata della pandemia perché non l’ho vista e nemmeno incontrata, come se il virus non fosse mai esistito: la natura non si è ammalata di Covid-19, ha la sua agenda, non si occupa di noi». Lori è una brillante signora inglese, ha 68 anni e, in sella alla sua bici, ha percorso l’Europa che combatte la seconda ondata di contagi: 2.520 chilometri in 34 giorni, da Amsterdam a Roma. Ha attraversato sei nazioni, pedalato in mezzo ai campi, ai boschi, lungo i fiumi, ha attraversato le Alpi, si è arrampicata sugli Appennini e si è fermata ogni giorno a parlare con chiunque incontrasse, curiosa di capire come sono cambiate le nostre vite.

Lori Tierney, 68 anni, è inglese, ma vive in Olanda. Ha attraversato l’Europa, da Amsterdam a Roma, in bicicletta: un’impresa a scopo anche benefico

Il tempo lento della bicicletta le ha permesso di capire una cosa fondamentale: perché il ritorno del virus, per ora, non ha colpito l’Italia. «Anche nei più piccoli e sperduti paesi dell’Appennino tutti avevano la mascherina, stavano distanziati e facevano la coda fuori dai negozi, attendendo il loro turno per entrare. In Italia ho notato che c’è una grande attenzione. In Olanda, il Paese in cui vivo e da cui sono partita, le persone che indossano una mascherina sono pochissime: è un posto molto libertario dove è impensabile che il governo possa ordinare di coprirsi naso e bocca. Così le regole sono sempre state blande, stare a un metro e mezzo di distanza gli uni dagli altri e non in più di sei persone in casa. In Germania, invece, quando entri nei bar e nei ristoranti ti chiedono nome e numero di telefono per tracciarti, ma la mascherina non è indispensabile. Per incontrarne una, bisogna davvero passare le Alpi».

Il panorama a Garmisch, in Baviera: qui Lori ha fatto tappa prima di affrontare le Alpi e arrivare in Italia

Sentir dire da un’inglese che vive in Olanda che l’Italia è la terra delle regole rispettate e delle file ordinate ha dell’incredibile, ma lo stupore dura poco, perché subito puntualizza che la mascherina noi italiani ce l’abbiamo, ma non sempre nel posto giusto. «Ne ho viste sotto il naso, sul collo, appese a un orecchio, sul gomito». Ma il segno più evidente dei tempi straordinari che stiamo vivendo, racconta Lori, è l’incredibile vuoto che ha accompagnato il suo viaggio. «Pedalare nella pandemia significa vedere le città senza turisti, e i caffè, che sono la vera cifra dell’Europa e della sua cultura, deserti. Significa arrivare in una piazza San Pietro, la meta che mi ero prefissata, senza nessuno».

Lori con la sua bicicletta in piazza San Pietro, a Roma: il punto d’arrivo che aveva fissato per la sua avventura

Lori ha, da sempre, una grande passione per l’avventura. Dopo essersi trasferita in Olanda per amore, e aver diretto per «42 anni e 5 mesi» una delle più prestigiose scuole di lingua, il giorno dopo che è andata in pensione è partita per un viaggio in Estremo Oriente di due mesi, lasciando a casa marito e figli. Ha preso treni, aerei, navi, autobus notturni, ha camminato e ovviamente pedalato. Ha dormito negli ostelli e a casa delle persone che ha conosciuto durante il viaggio.

Ma questa volta è salita in bici con uno scopo benefico: raccogliere soldi per la Fondazione Lori Tierney, che porta il suo nome. La fondazione opera in una zona del Kenya che confina con Uganda e Tanzania e si occupa di quella che è un’emergenza e una risorsa da quelle parti: la scuola. «Ci sono tanti bambini e ragazzini che sono soli perché i genitori sono malati o morti di Aids. Senza sostegno economico uscirebbero immediatamente dal sistema scolastico. La fondazione paga le loro rette e così, oltre a un’istruzione, hanno anche un pasto assicurato al giorno, quello fornito dalla scuola. A volte è solo un piatto di fagioli, ma è già tanto». Oltre che delle rette scolastiche la fondazione di Lori si occupa anche di acquistare le divise, i libri e i quaderni. «Nient’altro; in Kenya la corruzione è fortissima, bisogna stare molto attenti a dove vanno a finire i soldi. Per questo mi concentro su poche cose, ma concrete». Finora i ragazzi che è riuscita ad aiutare sono 15: «È emozionante vedere che semplicemente imparando a leggere e scrivere costruiscono pezzetto dopo pezzetto il loro futuro».

Sentiero un po’ accidentato in mezzo alle vigne e alla campagna di Appiano sulla Strada del Vino (Bolzano)

L’idea della raccolta fondi attraverso questo viaggio le è venuta quando il volo che aveva prenotato per il Kenya è stato cancellato. «Mi sono detta: so andare in bicicletta, ed è la cosa più sicura che possa fare in questo momento; sono sola, mi muovo in campagna, lungo i fiumi, nei boschi, sulle montagne». Quando è partita non era sicura che sarebbe arrivata fino in fondo, c’era il problema di attraversare la frontiera olandese, belga, tedesca, austriaca, svizzera e italiana, una cosa non scontata di questi tempi. La scelta di arrivare a Roma non è casuale: «Non pratico la religione cattolica da quando ero bambina, ma l’idea del pellegrinaggio mi affascinava molto. Quell’idea di lentezza, una lentezza che permette di osservare e riflettere. Ogni mattina mi svegliavo e pensavo a San Cristoforo, patrono dei pellegrini e dei viaggiatori tutti. E mentre pedalavo mi ripetevo una specie di mantra: “Lori, stai attenta, pedala con attenzione”, mi serviva a focalizzarmi, a sentire meno la fatica».

Il percorso che Lori ha fatto in bicicletta (grafica di Matteo Riva)

A seguirla, a qualche decina di metri di distanza, c’è sempre stato Geurt, suo marito, alla guida del microscopico camper che è stato la loro casa per un mese abbondante. Si ritrovavano solo la sera quando, nonostante avessero condiviso il medesimo percorso, ognuno aveva le sue storie da raccontare. «Avevo fatto altri lunghi viaggi in bici, ma quella che ho concluso è stata un’esperienza memorabile. Ogni giorno iniziava e io non sapevo esattamente dove sarei stata la sera, chi avrei incontrato lungo la strada. Ma quest’incertezza, invece di darmi ansia, mi ha regalato un grande senso di libertà. Anche quella della fatica fisica è una grande lezione: devi solo pedalare, resistere, andare avanti. Spingi sui pedali e la testa si libera, si pulisce. E poi scopri i tuoi limiti. Io penso che conoscere i propri limiti sia il modo più profondo per conoscere sé stessi. Quando sono uscita da Garmisch, in Austria, ho visto davanti a me le Alpi. Ho pensato: le devo attraversare. L’ho fatto».

Geurt, il marito di Lori, che l’ha accompagnata nel suo viaggio in bicicletta guidando un piccolo camper
Lori durante una sosta, seduta sulla porta del camper

Tra i ricordi più belli per Lori ci sono: i paesini italiani costruiti sulla montagna, il profumo di caffè che usciva da certi bar e «scoprire che da voi costa 90 centesimi, non 3 euro come in Olanda».

Tra le cose da dimenticare: «La devastazione ambientale dell’area della Ruhr, in Germania, dove capisci che il mondo è rimasto indietro e la crisi economica è pesante. E il senso di desolazione di certe fattorie abbandonate nella valle del Po, verso Ferrara. Gli scheletri arrugginiti di auto e trattori».

Il dettaglio di una casa di Firenzuola, in Toscana

L’impresa fisica e umana di Lori finora è servita a raccogliere seimila euro: «È una goccia nell’oceano. Ma è pur sempre una goccia».

(Per chi volesse aderire alla raccolta fondi, qui il link al sito della Fondazione Lori Tierney: www.lori-tierney-foundation.nl. E qui il suo Iban: NL16INGB 0675 3536 96)

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