18 Aprile 2025

Mario Vargas Llosa, una vita piena di vita

Domenica 13 aprile è scomparso lo scrittore Premio Nobel Mario Vargas Llosa. Ha attraversato quasi un secolo di storia raccontando, nei suoi romanzi, le questioni più urgenti del nostro tempo. Quando lo conobbi mi disse: vorrei morire con le dita sporche d’inchiosto
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Immaginando la propria vecchiaia, Mario Vargas Llosa aveva scritto che a ottant’anni avrebbe comprato un cane e si sarebbe ritirato in riva al mare su un’amaca. Raggiunta l’età prevista ha tenuto fede solo alla prima parte del suo progetto, prendendo un danese, ma sull’amaca di fronte alle onde non c’è mai andato. «La verità è che vorrei morire con le dita sporche d’inchiostro», mi disse di fronte a un meraviglioso tramonto bolognese nel giugno di otto anni fa. Troppo forte era suo il bisogno di scrivere, di vivere in mezzo ai libri, e così è stato fino all’ultimo.

Un curioso e attento Mario Vargas Llosa a Bologna nel 2017 prima di salire sul palco a “La Repubblica delle idee”

Il grande scrittore peruviano, Premio Nobel per la letteratura nel 2010, è scomparso a 89 anni questa settimana a Lima, dove lo avevano riportato i figli, anche se da molti anni aveva scelto di vivere a Madrid e aveva preso la nazionalità spagnola. Ha scritto quasi fino alla fine, perché questo era il suo destino.
Quando gli avevo ricordato quell’immagine dell’amaca di fronte al mare, mi aveva risposto: «Scrivo ancora come quando avevo diciott’anni e la mia grande speranza è quella di continuare fino all’ultimo giorno. Vorrei che la morte mi cogliesse di sorpresa mentre lo sto facendo».

Non sappiamo se sia andata davvero così, ma sappiamo che in autunno uscirà in Italia (sempre per Einaudi) il suo ultimo libro che si intitola “I venti”. Racconta di un uomo molto anziano che esce di casa per partecipare a una manifestazione per salvare uno degli ultimi cinema della sua città, ma sulla via del ritorno si perde e comincia a vagare senza ricordare l’indirizzo di casa. Un perdersi che è una riflessione su tutto ciò che abbiamo perduto secondo il grande scrittore, a partire dal piacere di andare a vedere le cose dal vivo anziché sullo schermo di un telefono.
L’amore per la realtà, per i rivolgimenti della storia, sono stati il motore della sua esistenza: dopo il crollo del muro di Berlino, decise di trasferirsi nella capitale tedesca e ci rimase tre anni. Voleva essere lì dove passava la vita, dove stava cambiando il mondo. Il grande architetto Renzo Piano lo ricorda curioso spettatore dell’immenso cantiere di Potsdamer Platz, pieno di domande e di riflessioni.

Nel 2017 ho avuto l’onore di ospitare Mario Vargas Llosa in piazza Santo Stefano a Bologna per “La Repubblica delle Idee”

Era uno straordinario conversatore, un uomo raffinato, elegante e molto colto. Il 17 giugno 2017 accettò il mio invito e venne a Bologna dove lo intervistai in Piazza Santo Stefano durante “La Repubblica delle Idee”.
Era un uomo curioso, ma amava le sue tradizioni e non pensava che la tecnologia dovesse cambiare il suo modo di lavorare: «Mi piace l’odore dell’inchiostro, le dita sporche, e poi la scrittura a mano ha il ritmo della letteratura, del pensiero. Dopo trascrivo tutto al computer, anche gli articoli, ma la prima stesura è sempre su un quaderno a righe, ogni giorno dalle 10 alle 15, dopo aver fatto ginnastica e letto i giornali».
Osai chiedergli se avesse mai letto un libro sul Kindle e la sua risposta fu netta: «Mai usato e mai lo userò: la letteratura su uno schermo è un sacrilegio».

Amava la carta e i romanzi, ma per lui la letteratura era impegno politico e sociale: «Sviluppa fantasia, sensibilità e spirito critico: tutte le opere ci mettono davanti a un mondo migliore e così quello reale non ci basta più e il potere non può più convincerci che la realtà vada bene così com’è. Aveva ragione Umberto Eco, leggere arricchisce ma non so se renda più felici perché ci fa consapevoli delle brutture del mondo. Ai miei tempi scrivere era un gesto eroico ed era impensabileche molti scrittori, come accade oggi, potessero vivere di questo. “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez fu una rivoluzione, il primo libro sudamericano arrivato al grande pubblico. Il mondo si accorse che in America Latina non c’erano solo dittatori».

L’angolo della mia libreria dedicata alle opere di Mario Vargas Llosa

Amava la democrazia e detestava il populismo, tanto da candidarsi alle elezioni presidenziali peruviane per provare a fermare la deriva del suo Paese: «Il populismo è la grande malattia della democrazia, peggio delle ideologie come fascismo e comunismo. Non esiste vaccino. La mia esperienza politica è stata negativa, tornassi indietro non mi ricandiderei contro Fujimori alle presidenziali del Perù del 1990. Tre anni terribili, ho imparato che non ho né vocazione né attitudine. Ma non vuol dire che non si debba partecipare: l’astensionismo è nemico della democrazia vera».
È stato uno scrittore impegnato, uno studente marxista e poi un liberale che denunciò immediatamente le degenerazioni del comunismo cubano e gli esperimenti di socialismo reale, quando questo ancora incantava generazioni di intellettuali che non volevano vedere la mancanza di libertà e la fine dei diritti: «Sessant’anni fa sembrò una rivoluzione non stalinista e aveva fatto sognare i giovani del mondo intero, e invece quel sogno è stato tradito».

Era capace di leggere la realtà con molto realismo e un approccio giornalistico: «Se nel mondo c’è un restringimento degli spazi democratici, in America Latina rispetto alla mia gioventù le cose vanno molto meglio. Sono democrazie più o meno mediocri, ma il progresso è notevole. In Brasile il movimento popolare contro la corruzione, supportato dai giudici, è stato un fenomeno affascinante, d’esempio al mondo intero. Le uniche eccezioni restano Cuba e Venezuela. Il Venezuela è potenzialmente il paese più ricco del mondo, eppure i venezuelani muoiono di fame. Una tragedia. La gente sopravvive solo col cibo che compra di contrabbando da un governo corrotto che se ne arricchisce. L’unica cosa buona della situazione è che ora il resto dell’America Latina sa che il socialismo del XXI secolo in nessun modo può essere la soluzione alla povertà e alle disuguaglianze. Nessuna sinistra ragionevole vuole imitare quel modello».
Di Cuba lo intristiva il disinteresse del mondo e la rassegnazione della popolazione: «Se in Venezuela tre quarti del popolo fa opposizione e resiste, i cubani hanno raggiunto una pace dei sensi cimiteriale, sono rassegnati, senza speranza».

A cena a Bologna nel 2017 con Mario Vargas Llosa e Richard Gringas, giornalista e allora vicedirettore di Google News

Quella sera andammo a cena insieme a Richard Gingras – un uomo che ha attraversato tutte le rivoluzioni giornalistiche americane e che allora era vicepresidente di Google News – e il discorso inevitabilmente si concentrò sull’uomo che da cinque mesi era entrato alla Casa Bianca, il suo giudizio fu nettissimo: «Trump è una vergogna per gli Stati Uniti».
Varigas Llosa, che ordinò tagliatelle al ragù e tiramisù, non faceva sconti a nessuno, nemmeno al primo Papa sudamericano: «Francesco è simpatico, dice le cose giuste che da tempo avremmo voluto sentire da un Papa, ma non si sono ancora trasformate in realtà. Queste riforme annunciate nella Chiesa non sono state fatte perché la struttura del Vaticano è molto conservatrice o perché questo Papa parla più di quel che fa?».

La dedica che Mario Vargas Llosa mi ha lasciato durante il nostro incontro su una copia del suo “Crocevia”

Quando ci salutammo mi regalò una copia del suo ultimo libro e io ricambiai con il mio “Spingendo la notte più in là”, mai avrei immaginato che lo avrebbe letto. Poche settimane dopo mi fece un regalo immenso, pubblicò un’intera pagina su El Pais in cui parlava del libro e del nostro incontro bolognese.
Il modo in cui lo fa mi conferma la grandezza dello scrittore: “Trascorro un paio di giorni a Bologna, in occasione delle attività organizzate dal quotidiano La Repubblica, e converso per un’ora con il suo direttore, Mario Calabresi, davanti al frontespizio di una chiesa romanica del XIII secolo, in piazza Santo Stefano, trasformata in auditorium, circondata da bar, caffè e ristoranti dove, mentre parliamo di letteratura e politica, un pubblico, per lo più giovane, beve birra e ci ascolta, apparentemente molto attento. È stimolante e piacevole trovarsi in questo splendido posto, dove sembrano regnare cultura, convivenza e pace”.

E poi raccontò che aveva passato la notte a leggere il libro e a ragionare sul terrorismo politico degli Anni di Piombo e su quello islamico del nuovo millennio, e di come fosse più difficile debellare il secondo che colpisce a caso e in modo imprevedibile.
L’ultima immagine che ho di quell’incontro è il gesto con cui si sistema il ciuffo di capelli bianchi scompigliati da una brezza calda di inizio estate. Poi si gira ed entra nel suo hotel.

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