Avevo sei anni e una sera d’autunno, mentre ero a cena insieme ai miei nonni, ho incontrato le elezioni americane: era stato eletto Jimmy Carter e io ricordo immagini di festa che somigliavano tanto al Carnevale, con una pioggia di coriandoli. Avevo chiesto al nonno se fosse contento e lui mi disse che era una cosa che riguardava gli americani non noi italiani, che eravamo degli spettatori. Da allora ho seguito tutte le campagne elettorali americane, costruendo un archivio e una bella collezione di libri. Anno dopo anno, il mondo si è fatto più piccolo e interdipendente: oggi le elezioni americane riguardano tutti e le conseguenze della scelta di un presidente fanno la differenza anche nelle nostre vite.
Per questo insieme a Marco Bardazzi, una delle persone che meglio conosce l’America e la sa leggere e interpretare, abbiamo dato vita al podcast Altre/Storie americane. La terza puntata, in cui parliamo della Convention repubblicana che si è chiusa questa notte a Milwaukee, del candidato vicepresidente scelto da Trump e del dilemma sul futuro di Joe Biden, la potrete ascoltare questa mattina a partire dalle 8.
Mentre scrivo, le voci di un ritiro dalla corsa dell’attuale presidente si fanno sempre più insistenti e sembra difficile che possa restare candidato quando due terzi degli elettori democratici chiedono un passo indietro.
Nel campo repubblicano questa notte la convention ha incoronato un Trump che, dopo essere sopravvissuto all’attentato, sembra sempre più forte e destinato alla vittoria (se si votasse oggi). La scelta del vice, che si chiama J.D. Vance ed è il trentanovenne senatore dell’Ohio, ha galvanizzato la base. La storia di Vance è stata raccontata in un formidabile libro autobiografico intitolato “Elegia americana” da cui è stato tratto anche un film diretto dal regista premio Oscar Ron Howard. È una storia familiare che spiega meglio di tante analisi il dramma del declino dell’America industriale dove al posto della classe operaia bianca oggi ci sono droga, alcolismo e disoccupazione.
Vance è il portavoce di una nuova proposta politica repubblicana che ci riguarda molto da vicino perché immagina un’America che si ritira dal mondo, che alza barriere ai lavoratori e alle merci straniere (penso ai nostri mobili, alla moda o al vino) per difendere il lavoro americano (per cui chiede salari più alti) e non intende più spendere soldi per difendere l’Europa. Una nazione molto diversa da quella neoconservatrice di George W. Bush che pensava di esportare la democrazia e si impantanò nelle guerre afghana e irakena.
Molte cose stanno cambiando sotto il cielo e lo fanno a grande velocità. E ci saranno molte storie da raccontare da qui a novembre.