Marlene Dumas nasce nel 1953 in Sudafrica. Da bambina aveva l’abitudine di disegnare su piccoli ritagli di cartone ottenuti dalle confezioni di sigarette. Di quell’ingegnosa attività infantile resta un documento toccante, che visto oggi ha il sapore di una reliquia. Risale al 1963, all’epoca in cui Marlene Dumas ha appena dieci anni. Su una striscia rettangolare di carta sfilano dieci concorrenti di Miss Mondo, in costume da bagno, otto ritratte di fronte e due di profilo. La ricchezza dei dettagli stupisce: le chiome delle concorrenti sono di colori diversi, le acconciature sono quelle tipiche degli anni Sessanta, simili alle pettinature portate all’epoca da attrici come Sophia Loren o Elizabeth Taylor, e poi ogni costume è caratterizzato da una stampa e un colore particolari. Nel girovita sottile e nei seni generosi, appuntiti come i missili dell’era spaziale, sembra quasi di cogliere una punta di sarcasmo e una satira degli anni Sessanta. Probabilmente Dumas aveva tratto ispirazione da una foto vista su un giornale o dalle riprese tv della serata di Miss Mondo 1963, che oggi possiamo rivedere per intero su YouTube.
A Palazzo Grassi, dove ha appena inaugurato una mostra monumentale dedicata a Dumas, c’è un piccolo quadro che ritrae un’icona cinematografica degli anni Cinquanta e Sessanta. È Marilyn Monroe. Anche in questa circostanza Dumas parte da una foto. Si può dire che Dumas non ha praticamente mai lavorato di fronte a un modello in posa, ma sempre a partire da una foto, da un ritaglio di giornale o dal fotogramma di un film. In questo caso si tratta di un primo piano di Marylin, scattato di rapina al corpo senza vita dell’attrice, adagiato su un lettino dell’obitorio. Il titolo del quadro, realizzato nel 2008, è Dead Marilyn. Il volto di Marilyn è irriconoscibile. Non c’è più traccia di quel tratto morbido ed etereo che hanno fatto di Marilyn un mito e un simbolo. Eppure, in Dead Marilyn c’è una nota di delicatezza che parte dalla tela e s’insinua nel cuore dello spettatore. A che cosa è dovuta? Forse al flebile rosa cenere e al turchino chiaro con cui la figura è stata dipinta? Può essere.
C’è però un altro elemento. Ne accenna Elizabeth Lebovici, la critica e storica dell’arte francese che ha contribuito al podcast (lo potete ascoltare qui) e al catalogo che accompagnano la mostra. Lebovici ci suggerisce di guardare con attenzione i capelli di Marilyn e il modo garbato e umano con cui sono stati ravviati e pettinati all’indietro, scoprendo la fronte. È qui e ora che scorgiamo la cura di qualcuno, non sappiamo chi, che a differenza del fotografo, ha avuto pietà per il corpo di Marilyn.
*Ivan Carozzi è autore di libri, podcast e programmi tv; collabora con diverse testate on line, tra cui Il Tascabile.