Per molti anni ho scritto di notte, il buio e il silenzio mi sembravano il contesto ideale per lavorare a un libro. Tornavo a casa dal giornale, dormivo un quarto d’ora, mi facevo una caffettiera da tre e poi, verso le undici mi mettevo al computer. Nell’assenza di distrazioni, messaggi e telefonate mi immergevo nelle mie storie, non sentivo il sonno e andavo avanti filato fino alle tre di mattina.

Mi è sempre piaciuta la notte, era il mio momento preferito. Poi il mio bioritmo è completamente cambiato e improvvisamente ho cominciato ad amare l’alba, ad apprezzare l’arrivo lento della luce, l’inizio della giornata più che la fine.
È successo quando è finita la mia direzione a “La Repubblica”, quando dopo molti anni in prima linea ho smesso di avere giornate scandite dall’adrenalina e dalle notizie.
Quando ho cominciato a lavorare a “La mattina dopo” mi è venuto naturale alzarmi molto presto, usare la testa sgombra e fresca per scrivere, evitando di guardare mail, messaggi, siti e social.
Una sorta di bolla magica che esiste tra le cinque e le otto e che svanisce quando il mondo irrompe con i suoi messaggi e le sue telefonate.
Da alcune settimane sono tornato nella bolla magica dell’alba, alzarmi presto non mi fa fatica perché c’è il libro che mi aspetta. Un nuovo libro che uscirà tra poco più di due mesi, all’inizio dell’autunno.
Quando suona la sveglia anziché maledirla mi sento felice, mi lavo la faccia, faccio la barba e mi tuffo nella storia e vorrei che non arrivassero mai le otto.
Buona giornata!