La prima immagine è quella di Donald Trump sul banco degli imputati in un’aula di giustizia di Manhattan, solitamente utilizzata per processi a criminali comuni. Ha l’espressione di chi medita la rivincita, non di un uomo umiliato e finito. Eppure, non era mai successo nella storia degli Stati Uniti che un ex presidente venisse incriminato per reati penali. In questa primavera 2024 Trump è stato costretto per settimane a presentarsi in aula, rinunciando a fare campagna elettorale, per difendersi dall’accusa di aver pagato illegalmente il silenzio di una pornostar su una loro relazione. Alla fine, la giuria lo riterrà colpevole per 34 capi d’imputazione ma la definizione della pena da scontare, che può andare dal carcere ai lavori socialmente utili, sarà stabilita solo dopo le elezioni del 5 novembre.
Un’immagine come questa, un tempo, sarebbe bastata da sola a chiudere la vita politica di un candidato, a decretarne la fine; invece non è accaduto e nell’estate che si è appena conclusa i colpi di scena si sono susseguiti dando vita alla più incredibile e drammatica campagna elettorale della storia americana.
Ogni venerdì mattina la racconto insieme a Marco Bardazzi nel nostro podcast Altre/Storie americane (che potete ascoltare qui) ma in certi momenti abbiamo avuto la sensazione che la voce non bastasse.
È una corsa alla Casa Bianca così sorprendente da meritare un progetto speciale, qualcosa capace di fermare gli attimi più significativi e metterli in fila per costruire memoria e permettere di capire le cose.
Così è stata inaugurata alle Gallerie d’Italia di Torino, il museo di Intesa Sanpaolo dedicato alla fotografia, una mostra unica dal titolo “In viaggio con l’America”, un’esposizione digitale che crescerà con un nuovo scatto ogni giorno fino al 6 novembre, il mercoledì in cui l’America dovrebbe svegliarsi conoscendo il nome di chi ha vinto le elezioni (uso il condizionale perché la sfida è talmente equilibrata da rischiare perfino un esito in parità o contestazioni e riconteggi).
L’idea è nata all’inizio dell’estate durante una chiacchierata con Stefano Lucchini, una persona che ama l’America e la fotografia (oggi oltre ad essere capo delle relazioni esterne di Intesa, è presidente dell’American Chamber of Commerce in Italy) e con Michele Coppola (che è direttore generale di tutte le sedi delle Gallerie d’Italia). Volevamo provare a fermare quella serie di istanti che stanno facendo la storia e metterli in mostra sul grande schermo della hall d’ingresso delle Gallerie. Insieme ad Antonio Carloni, che guida la sede torinese, abbiamo pensato a qualcosa che fosse per tutti, che raccontasse questa corsa anche a chi passa per strada, così questa esposizione digitale curata da Chora e Will Media, in collaborazione con l’Agenzia Ansa, scorre anche sui monitor esterni del museo in Piazza San Carlo.
Ogni sera io e Marco scegliamo una foto e la accompagniamo con una didascalia che è un piccolo racconto.
Ad osservare le immagini si fa fatica a credere a tutto quello che è accaduto: c’è il presidente Joe Biden in un momento del dibattito con Donald Trump ospitato dalla CNN. È il 27 giugno e quello che si svolge ad Atlanta diventa il dibattito più importante mai avvenuto nelle elezioni americane. Perché l’anziano presidente mostra in tv tutta la propria fragilità e la difficoltà a tenere testa allo sfidante, si capisce quella sera che non sarebbe in grado di guidare il Paese per altri quattro anni. Ne nasce una discussione pubblica che in meno di un mese spingerà Biden a ritirarsi, lasciando spazio alla vice Kamala Harris.
Ma mentre l’America si interroga sul presidente, sui prati di Butler, in Pennsylvania, si scrive un’altra drammatica pagina di storia americana, accompagnata da un’immagine che diventa icona politica. Donald Trump, con il volto rigato di sangue, solleva il pugno al cielo pochi istanti dopo essere sopravvissuto a un tentativo di omicidio. È il 13 luglio e Trump per puro caso si salva dal proiettile sparato dal ventenne Thomas Matthew Crooks, poi ucciso dai cecchini del Secret Service, che gli ferisce soltanto un orecchio.
Due giorni dopo il Partito repubblicano si riunisce a Milwaukee, in Wisconsin, per quello che è uno dei momenti più importanti di una corsa alla Casa Bianca: la convention. L’ex presidente si presenta al suo popolo con l’orecchio bendato e sul palco, affiancato dalla moglie Melania, racconta il pericolo che ha corso in Pennsylvania. Molti delegati, per solidarietà, si bendano l’orecchio e in quel momento il candidato repubblicano vola nei sondaggi.
La settimana dopo, il 21 luglio, Joe Biden rinuncia alla candidatura al secondo mandato presidenziale e lancia la vice Kamala Harris. La pressione sul presidente, affinché facesse un passo indietro, si era fatta insostenibile. Biden prende la decisione durante qualche giorno di vacanza nella sua casa al mare in Delaware, poi rientra a Washington e parla alla Nazione dallo Studio Ovale per spiegare i motivi della rinuncia.
È un’altra prima volta nella storia americana: non era mai accaduto che un candidato si ritirasse poche settimane prima della nomination ufficiale, come non era mai accaduto che il candidato di uno dei due grandi partiti scendesse in campo in estate senza aver fatto il percorso delle primarie. Kamala Harris è la grande sorpresa della corsa alla Casa Bianca 2024. Il 23 luglio debutta in campagna elettorale con un comizio in Wisconsin, uno degli stati chiave che decidono l’esito del voto di novembre.
Il Partito democratico dopo le dimissioni di Biden e la candidatura di Harris ritrova l’entusiasmo che aveva perduto e si prepara alla propria convention a Chicago. Poco prima dell’assemblea, Kamala Harris sceglie il proprio running mate: è il governatore del Minnesota Tim Walz, un ex insegnante di liceo poco noto a livello nazionale, ma capace di una forte empatia con il popolo progressista, che lo accoglie con grande partecipazione.
Da quel momento i sondaggi registrano una situazione di sostanziale parità tra i due candidati, evidenziando che la partita si giocherà in soli sette Stati.
In questo scenario Trump e Harris si incontrano, per la prima volta in vita loro, sul palco del dibattito presidenziale organizzato il 10 settembre dal network tv ABC a Filadelfia. È la vicepresidente a prendere l’iniziativa, andando a stringere la mano a sorpresa a Trump e spiazzandolo un po’. Da quel momento in avanti, la Harris conduce all’attacco un dibattito che la maggioranza degli osservatori ritengono sia stato vinto da lei. Ma possiamo dire che se Kamala ha vinto, Donald non ha perso, perché il suo mondo si mostra compatto e fedele.
Intanto a scendere in campo sono le celebrità: per Trump ne sono emerse molte nel mondo della Silicon Valley, dove il più entusiasta a schierarsi per l’ex presidente è stato Elon Musk, il capo di Tesla, Space X e del social X. Musk per tutta la campagna elettorale ha dispiegato il proprio potere mediatico a favore di Trump e l’ex presidente ha promesso che, se tornerà alla Casa Bianca, gli affiderà il compito di guidare una task force che esamini l’”efficienza del governo americano”.
Harris però incassa il sostegno della cantante più celebre al mondo, con un seguito planetario di centinaia di milioni di follower sui social e un pubblico di fan che la segue e la imita in tutto: Taylor Swift. Con un post annuncia che voterà la Harris, invita i giovani a registrarsi per votare e prende in giro i repubblicani postando una foto con un gatto e presentandosi come una “gattara senza figli”: riferimento ironico a un’analoga definizione che il candidato vicepresidente di Trump, JD Vance, ha utilizzato in senso dispregiativo contro le donne che scelgono di non mettere al mondo bambini.
In questa partita sul filo di lana ogni cosa può fare la differenza, vincerà chi dimostrerà di incarnare meglio l’identità del proprio elettorato, ma nulla è ancora deciso: il mese di ottobre è sempre stato quello delle sorprese e dei colpi di scena. Ve li racconteremo ogni giorno con le immagini e ogni settimana con il nostro podcast.