Gli archivi sono meravigliosi giacimenti di memoria, capaci di restituire vita e azione alla Storia. A Milano ne esiste uno speciale, quello dell’Agenzia Publifoto, che contiene sette milioni di fotografie, la maggior parte in bianco e nero, che raccontano l’Italia tra gli anni Trenta e Novanta del secolo scorso. Cinque anni fa, per evitare che questo patrimonio andasse disperso o finisse negli Stati Uniti è stato acquistato da Intesa Sanpaolo che lo ha inserito nel suo Archivio Storico. Lo scorso autunno sono andato a visitarlo e di fronte agli schedari, alle buste dei negativi e dei provini, ai quaderni scritti a mano che contengono infiniti elenchi di luoghi e persone, sono rimasto ipnotizzato.
Poi mi è capitata tra le mani la foto del Cenacolo di Leonardo da Vinci, salvato per miracolo dai bombardamenti dell’agosto del 1943 da una palizzata di legno riempita di sacchi di sabbia, allora ho pensato che quel patrimonio di immagini meritasse di essere raccontato e condiviso. Insieme alle archiviste ci siamo messi a scavare recuperando più di 3.300 immagini della Milano distrutta dalla guerra, che oggi sono state digitalizzate e sono tutte disponibili per la consultazione qui.
Queste fotografie ci raccontano una città in macerie ma insieme ci ricordano la volontà di ricostruire, la speranza e la capacità di ripartenza. Per questo durante il lockdown è nata l’idea di fare una mostra in cui, accanto alle immagini simbolo della distruzione dell’estate del ’43, ci fossero gli stessi luoghi fotografati nei giorni dell’assenza che abbiamo vissuto. Milano oggi porta ancora i segni della pandemia, li si legge negli uffici in parte vuoti, nella mancanza di turisti, in un’attesa di tempi migliori che non fa parte del suo carattere. Veniamo da mesi in cui il silenzio ha avuto una predominanza a noi sconosciuta, mai avevamo visto strade, piazze e stazioni così deserte. In questo tempo non previsto e nemmeno immaginabile è stata progettata questa esposizione. Per ricordarci di cosa siamo capaci, per mostraci la resilienza e la forza di Milano e dei suoi abitanti. Una nuova prova da affrontare con lo spirito di allora, quello che il sindaco della Liberazione Antonio Greppi sintetizzò con la frase: «Molto si è distrutto, ma noi tutto ricostruiremo con pazienza e con la più fiduciosa volontà».
Qui di seguito, alcune delle foto presenti nella mostra, intitolata “Ma noi ricostruiremo. La Milano bombardata del 1943 nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo” (dal 9 ottobre al 22 novembre 2020, alle Gallerie d’Italia – Piazza della Scala 6, Milano. Orari: da martedì a domenica, 11.00-19.00. Lunedì chiuso).
Piazza San Fedele
La statua in bronzo di Alessandro Manzoni sopravvisse alla notte di bombardamenti del 12 agosto, lasciando il grande scrittore muto testimone della distruzione. Alle sue spalle è pesantemente danneggiata la facciata ed è scoperchiato il tetto della chiesa di San Fedele; è scomparsa la scalinata sulla quale Manzoni cadde il 6 gennaio 1873, battendo la testa e procurandosi il trauma cranico che lo porterà alla morte. Il cumulo di macerie a destra della chiesa era la Questura che si trasferirà in via Fatebenefratelli.
Piazza Fontana
All’alba del 13 agosto 1943 Piazza Fontana era irriconoscibile, le vecchie case che delimitavano l’antica via Alciato non esistevano più e sarebbe scomparsa per sempre dalla mappa la strada che conduceva all’ingresso dell’attuale Comando della Polizia Locale di piazza Beccaria, che per tre secoli era stato il palazzo di giustizia milanese e il luogo del boia e delle esecuzioni capitali. Per questo nell’Ottocento prese il nome di Cesare Beccaria, fautore dell’abolizione della pena di morte. Gli edifici erano cumuli di macerie e si era salvata soltanto la fontana di granito rosa progettata nel 1780 da Giuseppe Piermarini, l’architetto della Scala. Oggi, nel pavimento intorno alla fontana, sono state inserite 17 formelle con i nomi delle vittime di un’altra bomba che cambiò la storia di quella piazza, di Milano e dell’Italia intera: la strage della Banca Nazionale dell’Agricoltura del 12 dicembre 1969.
Galleria Vittorio Emanuele II
Dopo la seconda notte di incursioni aeree la copertura in vetro della Galleria Vittorio Emanuele II, il salotto di Milano inaugurato nel 1867 come passaggio coperto in stile parigino con caffè e negozi, era completamente distrutta. Erano danneggiate le strutture portanti in metallo della cupola, la pavimentazione in marmo, le decorazioni e i negozi. Uno dei luoghi più vivi della città, ritrovo per decenni di cantanti e musicisti, palcoscenico di accese discussioni politiche, era muto e completamente deserto. I lavori di restauro e ricostruzione cominciarono solo cinque anni dopo, ritardati dai dibattiti su tecniche e materiali da usare, tanto che la nuova inaugurazione avvenne soltanto nel giorno di Sant’Ambrogio del 1955.
L’Università Statale-ex Ospedale Ca’ Granda
La gigantesca Ca’ Granda, l’ospedale dei poveri voluto da Francesco Sforza e progettato dall’architetto fiorentino Filarete, è una delle prime opere rinascimentali di Milano. Inaugurato nel 1472 funzionò come ospedale fino alla guerra. Dopo i bombardamenti nulla era intatto. Anche i nuovi padiglioni, costruiti al di là del naviglio – oggi via Francesco Sforza – furono rasi al suolo ma non ci furono vittime tra i ricoverati, sfollati per tempo. I lavori di ricostruzione durarono 37 anni e si conclusero definitivamente solo nel 1984. Le ottanta arcate del cortile del Richini vennero rimesse in piedi utilizzando il materiale originale. Con la sua inaugurazione, nel 1958, la Ca’ Granda cominciò la sua seconda vita come sede dell’Università degli Studi di Milano.
Tutte le foto del 1943 sono ©Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo. Tutte quelle a colori, realizzate tra marzo e maggio 2020, sono ©Daniele Ratti.
Ratti (Milano, 1974) è fotografo professionista dal 2000. Si è occupato della direzione artistica di “Paratissima” a Torino; ha collaborato con testate e festival, tra cui “Internazionale” e “Cortona On The Move”. Le sue opere si trovano nelle collezioni permanenti del Pan di Napoli, della Fondazione Bartoli Felter di Cagliari e in numerose collezioni private. Dal 2013 ha intrapreso un progetto che lo ha portato nelle ex colonie italiane in Africa e oltre mare.