Non esistono algoritmi o formule capaci di indicarci la strada da percorrere o di garantirci una vita felice, esistono invece le occasioni, la fatica e la passione. Così un momento di smarrimento e di difficoltà può trasformarsi in un progetto nuovo e mostrarci improvvisamente la rotta. Accade spesso. È accaduto alla studentessa di medicina protagonista del primo capitolo del mio ultimo libro. Una ragazza che mi aveva acceso la voglia di cercare risposte alle sue domande sul tempo e sull’ansia, quel viaggio che ha dato vita a “Il tempo del bosco”.
Mi aveva fermato alla fine di un convegno all’ospedale Sacco a marzo del 2023. Ricordo che parlava a voce molto bassa e mi aveva raccontato, in modo schematico, il momento che stava vivendo: «Sono in pari con gli esami, ho seguito tutta la pratica richiesta in ospedale, ho migliorato il mio inglese, leggo tutti i libri che mi consigliano e non faccio mai nulla che non sia utile. Mi resta solo il tempo per dormire, che è sempre troppo poco. Ma tutto questo non basta. Non basta mai. Le mie compagne più brave fanno anche volontariato e sento dire che questo farà la differenza nel curriculum; fanno sport di gruppo e anche questo conta per tutti i discorsi sullo spirito di squadra. Ci consigliano di fare anche un’esperienza all’estero, magari in un ospedale africano, prima di finire la specializzazione. Altri suggeriscono: “Certo, sarebbe utile parlare un’altra lingua straniera oltre all’inglese”. Ma come si fa? Come si può fare tutto e tenere insieme tutto? Io mi sento inadeguata e vedo che l’asticella è sempre più in alto. Troppo in alto».
Mentre parlava aveva cominciato a piangere silenziosamente, avevo visto le lacrime cadere sulle guance. Sentivo che la sua ansia era figlia della paura di non essere all’altezza delle aspettative e della domanda incessante di quale sia la strada giusta. Un sentimento comune e frequente: sembra che oggi non sia più permesso sbagliare e che, per non perdere occasioni, si debba fare tutto. Si è diffusa la convinzione che esista un percorso esatto e lo si debba azzeccare al primo colpo, senza perdere tempo. Come se a guidarci fosse un algoritmo.
Le sue parole mi erano rimaste in testa, ma il suo nome no e molte volte, mentre scrivevo il libro e dopo la sua uscita, mi sono chiesto se l’avrei mai più incontrata e se avrebbe mai scoperto di essere una dei protagonisti de “Il tempo del bosco”.
Poche settimane fa, prima di una presentazione a Milano, ho ricevuto questo messaggio su Instagram: «Buongiorno, non so se mi sbaglio o se è tutto vero, ma io in quel marzo 2023 ero alla conferenza “Il tempo e la conoscenza in medicina” al polo Sacco. Le ho posto una domanda proprio alla fine del convegno e mi ritrovo nella conversazione che ha descritto, compreso il mio scoppiare a piangere sul finale. Mi chiamo Claudia e verrò alla presentazione del suo libro, magari potrà confermarmi che quella ragazza sono effettivamente io». L’avevo trovata!
Ci siamo visti e da allora sentiti e scritti più volte, mi ha raccontato che ha scoperto del libro da una compagna di studi che lo aveva in mano e le aveva chiesto: “Ma tu alla fine di quel convegno dove eravamo state insieme, avevi fermato Mario Calabresi?”. Lei aveva risposto di sì, ma l’altra non aveva spiegato il perché della sua domanda e Claudia, incuriosita, era entrata nella prima libreria, aveva cercato il libro e aveva incominciato a leggerlo in piedi davanti allo scaffale. Esi era ritrovata.
Claudia Meduri oggi è al quinto anno della facoltà di medicina, ha 23 anni e il suo umore e il suo sguardo sulla vita sono completamente diversi da quelli che avevo incontrato un anno e mezzo fa. «Allora ero al terzo anno e volevo andare a fare l’Erasmus a Nancy, in Francia. La selezione era molto stretta e i candidati tantissimi, dovevo scrivere una lettera motivazionale e nel presentare il curriculum era un titolo di merito importante aver fatto esperienze di volontariato, meglio se all’estero e negli ospedali. Io non ne avevo fatte e onestamente non sapevo nemmeno dove avrei potuto trovare il tempo. Dovevo dare un esame importante come Patologia ed ero entrata in crisi».
La prima volta che ci siamo visti le ho chiesto perché avesse fermato me: «Quella selezione aveva fatto scattare in me molte domande: ma poi cosa voglio fare nella vita? Come si trova il tempo fare tutto? Ma poi cosa è il tutto? Mi era piaciuto il tuo intervento al convegno, mi avevi ispirato e allora ho pensato che valesse la pena chiederlo a te. Certo, non avrei mai immaginato che ne sarebbe nato un libro!».
Alla fine, nonostante pensasse di non avere il curriculum giusto, Claudia è stata presa a Nancy: «Una grandissima occasione, un tirocinio molto pratico di dieci mesi che mi ha permesso di imparare come funziona un ospedale. Dopo due mesi lì, ho capito cosa voglio fare nella vita: la chirurga pediatrica. È stato come un colpo di fulmine e ora sono concentrata solo sulla laurea per poter poi entrare in specializzazione. Sogno di andare a Firenze o a Genova, dove ci sono realtà come il Mayer e il Gaslini, ma quello che conta è aver trovato la direzione».
La sua copia del libro è piena di sottolineature e di frasi cerchiate: «Mi ha dato tanti spunti su cui riflettere, su come vivere il tempo in modo più consapevole, ma la pagina che preferisco è quella in cui scrivi che “per un’ecologia del nostro tempo dobbiamo fare una cosa fondamentale: distinguere le cose urgenti dalle cose importanti. Le cose importanti sono facili da riconoscere: ognuno di noi sente dentro quali sono. Sono quelle che, se non le facciamo, ci lasceranno un rimpianto”. Penso spesso a questa cosa e mi aiuta a tenere la direzione».
Claudia, mi racconta, ha ripreso anche a fare sport, da adolescente era una grande nuotatrice, adesso arrampica e fa yoga. Legge romanzi in francese e ha amato molto “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio. Forse perché anche in quella storia c’è una ragazza che, come lei, cerca la sua strada. E poi, come lei, la trova.