A Palazzo Reale a Milano ha appena inaugurato una mostra definitiva, una di quelle che non hanno bisogno di nessuna aggiunta, rimando o attesa. Una mostra meravigliosa da cui non si vorrebbe mai uscire. È una mostra antologica che contiene una vita di lavoro in 200 scatti, la vita di Ferdinando Scianna. Il fotografo siciliano, che ha 78 anni, in una lettera mandata agli amici a inizio marzo la definisce “conclusiva” ed è orgoglioso che Milano, la città dove vive da mezzo secolo, abbia deciso di dedicargli così tanto spazio in un luogo così prestigioso.
Avevo intervistato Scianna a maggio dello scorso anno per questa newsletter (la trovate qui) e perdendomi nei saloni di Palazzo Reale ripensavo alla sua capacità di composizione e alla risposta che mi diede quando gli chiesi come si fa a cogliere l’attimo perfetto.
«La pretesa di racchiudere un istante significativo in una fotografia è una pretesa assurda, un’ossessione, perché non dipende da te. Si sviluppa ed è resa possibile attraverso un numero enorme di errori. Ogni volta che mi guardo indietro e apro l’archivio scopro la quantità pazzesca di brutte fotografie che ho fatto, di scatti che non hanno lasciato nessun segno. Ma poi non è di quello che ti resta il ricordo. La vita è piena di amicizie finite, tradimenti, giornate storte o pasti cattivi, ma poi ti ricordi di quella pasta con le sarde indimenticabile o di quella serata speciale».
Nella presentazione di questa mostra c’è una delle sue frasi più famose: “Io guardo in bianco e nero, penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra”. Ma la luce è sempre stata fondamentale nella sua vita, tanto che la casa del sogno, dove ritirarsi a leggere e scrivere, alla fine l’ha trovata in un paesino di minatori dell’Andalusia.
«Certo la luce fa la differenza. Io ho sempre amato Milano, dove vivo, ma se qui c’è una bella giornata e prendo l’aereo e scendo a Catania, quando si apre il portellone sembra che
abbiano acceso una lampada da 10mila. In Sicilia una bella giornata è un’altra cosa. È quello che spingeva questi pazzi illusi del “Grand Tour” che venivano a cercare la classicità e l’apollineo. E pensare che noi fotografiamo il sud nei neri, in una dialettica tra luce e lutto».
Forse è anche per questo che una delle sue foto più intense scattate a Milano appartenga invece al regno dell’ombra e del freddo: la grande nevicata del 1985. Ma anche qui il bianco e nero, il gioco tra la luce e il buio, tra i riflessi e i contrasti, sono tutti perfetti.