Per venticinque anni Consuelo Ordóñez non è più voluta passare in Kalea 31 de Agosto, una delle vie più piene di vita della parte vecchia di San Sebastián. Faceva il giro largo per non vedere le due vetrine del bar “La Cepa de Bernardo”. Quella strada non poteva più essere la sua da quel giorno di gennaio in cui suo fratello Gregorio, giovane candidato sindaco, era stato ucciso da un commando di terroristi dell’ETA con due colpi di pistola mentre, in quel bar, finiva di mangiare alle tre e mezza del pomeriggio.
Dopo l’omicidio, Consuelo aveva provato a restare a San Sebastián. Aveva resistito nonostante le minacce, nonostante una pietra scagliata da un manifestante indipendentista le avesse aperto la testa, nonostante gli insulti ripetuti per strada e un clima sempre più fetido e asfissiante. La sua colpa era di essere la sorella di un giovane politico del Partito Popolare, di non togliersi di mezzo, e il fastidio dei separatisti era cresciuto quando quel partito, dopo la morte di Gregorio, aveva fatto il pieno di voti diventando la prima forza politica nei Paesi Baschi.
Poi, una sera, mentre era in casa con il nuovo fidanzato, aveva sentito degli strani scoppi, era corsa in salotto e aveva visto le bottiglie molotov centrare il suo balcone al terzo piano. Una aveva spaccato il vetro ma, per puro miracolo, non si era rotta cadendo sul tappeto. Sarebbe stato un rogo. Il nuovo fidanzato era scappato per le scale: non lo avrebbe più visto. Quel giorno decise di andarsene, scegliendo di mettere 600 chilometri di distanza da quella storia e di andare a vivere nella parte opposta della Spagna: a Valencia.
Da più di dieci anni Consuelo è la presidente del Comitato per le vittime del terrorism0 (Covite) una delle associazioni più combattive che ci sono in Spagna per la memoria e la verità.
Soprattutto la verità: «I terroristi dell’ETA hanno ucciso 853 persone, ma in quasi il quaranta per cento dei casi non si sa ancora chi sia il colpevole». Mi racconta dell’omertà, delle coperture, di settori della magistratura che hanno girato la testa dall’altra parte, di politici compiacenti e della gran voglia di rimuovere il passato.
Lei, per sapere, ha avuto il coraggio di andare a incontrare in carcere uno degli assassini di suo fratello. Per settimane si era preparata tutte una serie di domande che sperava avrebbero fugato i dubbi che aveva, chiarito le complicità e gettato una luce su altri casi irrisolti.
Per paura di non farcela a reggere il confronto, di crollare per l’emozione, si era allenata a lungo. Una sua amica aveva preparato una maschera con il volto del terrorista, l’aveva indossata e per ore lei aveva fatto le domande a quella maschera.
«Quando finalmente ci siamo visti nel carcere, mi ha chiesto scusa, ma io francamente non sapevo cosa farmene delle sue scuse, gli ho detto che la persona a cui avrebbero dovuto fare le scuse era Gregorio che non aveva ancora 37 anni, ma un sacco di progetti per la testa. Poi, io ho fatto tutte le mie domande e lui non ha risposto a nulla, ha detto di non sapere o di non ricordare. Una sola cosa sapeva e ricordava: che dopo le molotov contro le mie finestre il mio fidanzato era scappato a gambe levate e non era più tornato…».
Sono passati dodici anni da quell’incontro in carcere e alla mia domanda se per lei la cosa più importante sia di avere tutta la verità, di conoscere finalmente responsabilità e colpevoli mi risponde di no.
«No, non è più quella. La cosa più importante è che condannino chiaramente il terrorismo e che ne prendano le distanze. La cosa che mi preoccupa di più oggi è la rimozione, la narrazione alternativa, la riscrittura della storia. Che si cerchino giustificazioni e che quello che è successo non venga considerato una mostruosità, ma una reazione all’oppressione». Consuelo è preoccupata per il messaggio che passa alle nuove generazioni, per questo non smette mai di parlare, per questo ha ripreso ad andare nei Paesi Baschi.
Ha fatto pace con la città dove lei e Gregorio sono cresciuti solo nell’istante in cui il sindaco di San Sebastián, il 25 gennaio del 2020, ha scoperto una piccola targa posta nella pavimentazione di Kalea 31 de Agosto una specie di pietra d’inciampo, per ricordare Gregorio. «È stata un’emozione grandissima, non avrei mai creduto che un piccolo gesto formale potesse fare così tanto la differenza nella mia vita». Ora, chiunque entri a La Cepa per mangiare tortilla, polpo, alici e tonno, deve leggere il nome di Gregorio.
A 150 metri di distanza dal bar in cui venne ucciso Gregorio c’era una libreria, si chiamava Lagun, era stata aperta nel 1968 da Maria Teresa Castells insieme al marito e a Ignacio Latierro.
Erano un gruppo di militanti antifascisti, convinti che l’opposizione al regime del generale Francisco Franco si potesse fare anche attraverso la cultura, aprendo un luogo di discussione e di idee nuove. Così la libreria divenne presto un simbolo della resistenza alla dittatura franchista.
Negli anni della transizione alla democrazia la libreria venne ripetutamente presa di mira dai gruppi fascisti che non sopportavano il fiorire della libertà e piazzavano bombe.
Ma, svaniti i fascisti, la tranquillità durò poco perché quel luogo di liberi pensatori divenne bersaglio del mondo che gravitava intorno all’ETA: c’era un nuovo pensiero unico da imporre con la violenza, l’ideologia dell’indipendentismo.
Per quei librai che avevano tenuto testa al franchismo era impensabile piegarsi di fronte a chi pretendeva che i negozi venissero chiusi per solidarietà ai terroristi, a chi ordinava quali libri dovessero essere tolti dalle vetrine, così cominciarono una sequela di atti di vandalismo sempre più frequenti e intensi da trasformarsi in attentati. Nel dicembre di quello stesso 1995 in cui era stato ucciso Ordonez, – un anno che segnò il salto di qualità del terrorismo basco che mise nel mirino non più solo poliziotti e militari ma anche politici, giornalisti, imprenditori, giudici e intellettuali, nel nome di “una socializzazione della sofferenza” – gli attentati si moltiplicarono e diventarono quasi quotidiani. Non riuscivano più nemmeno a cambiare le vetrine, che venivano costantemente imbrattate con la vernice, sfondate, bruciate. Perfino la notte di Natale.
Poi all’inizio di gennaio, durante l’ennesimo assalto notturno, un gruppo di giovani simpatizzanti dell’ETA prese i libri dalle vetrine e dagli scaffali per accatastarli al centro della Piazza della Costituzione e farne un grande falò. Il rogo dei libri di memoria nazista.
«Eravamo disperati – mi racconta Ignacio Latierro – ma la mattina dopo in piazza, davanti alla nostra Lagun, c’era la fila di cittadini comuni che comprarono i libri bruciati e quelli imbrattati. La loro solidarietà era commovente e per questo decidemmo di non mollare».
Ma una sera di cinque anni dopo, siamo nel dicembre del 2000, la fondatrice Maria Teresa sta tornando a casa, dopo aver abbassato la saracinesca, insieme al marito José Ramón Recalde, professore di diritto, avvocato del lavoro e esponente del partito socialista, imprigionato e torturato durante il regime franchista. Mentre stanno scendendo dall’auto, sotto casa, vengono raggiunti da un commando dell’ETA. Vogliono lui, in un anno in cui sono già state assassinate 23 persone e in cui si colpiscono gli intellettuali socialisti colpevoli di non sposare la causa della lotta armata indipendentista, e gli sparano in faccia. Il proiettile gli sfonda la mandibola ma, miracolosamente, non lo uccide.
La saracinesca della libreria in Piazza della Costituzione, nella parte vecchia della città, la zona più simpatizzante con l’area del terrorismo, non verrà più sollevata. Decidono di cambiare aria e riaprono nella parte nuova di San Sebastian, in una sede ritenuta meno esposta.
Resistono più di vent’anni, fanno in tempo a vedere la fine della lotta armata e la sconfitta dell’ETA, poi in un tempo breve vengono a mancare prima José Ramón Recalde (che, sopravvissuto all’attentato, ha la fortuna di morire nel suo letto a 86 anni), poi Maria Teresa e infine Rosa, moglie di Ignacio e colonna portante della storia della libreria.
La nuova minaccia però non è più armata, ma viene dagli acquisti online, dalla crisi della lettura, dalle librerie di catena e nel 2023 la storia di Lagun finisce. «Abbiamo chiuso un anno fa: le leggi del tempo e del mercato sono implacabili», dice con un po’ di rimpianto Ignacio.
È rimasto solo lui a raccontare la storia e a ricordare ogni giorno: «Volevamo vendere libri, ma sapevamo che la nostra sfida era molto più grande: seminare una cultura del confronto e della libertà. I costi sono stati altissimi: vetrine in frantumi, molotov, bombe, incendi e un tentato omicidio ma abbiamo sempre ricostruito e aperto ogni mattina».
Ignacio ha 81 anni, è una persona delicata e gentile che trasmette una forza serena, e condivide la stessa preoccupazione di Consuelo: «Abbiamo bisogno che la verità sia preservata e raccontata. Lo Stato di diritto ha vinto e la lotta armata dell’ETA è stata sconfitta, bisogna voltare pagina e guardare avanti ma per farlo abbiamo bisogno della verità. Non si può cambiare la storia di quello che è successo, nascondere le responsabilità o edulcorarle e la verità è che le nostre vittime sono state vittime di un progetto politico mostruoso e antidemocratico».
Ho raccolto queste due storie a San Sebastián, una città favolosa, oggi sicura, pacificata e piena di turisti, dove in pochi giorni ho ricevuto due premi per la versione spagnola del mio primo libro “Salir de la Noche” (Spingendo la notte più in là). Il primo dai librai dei Paesi Baschi che lo hanno votato libro dell’anno e il secondo dalle mani di Consuelo; il premio internazionale Covite.
Insieme a me è stata premiata la libreria Lagun e ho avuto l’onore di passare una giornata con lei e Ignacio. Lì ho capito che ci sono temi, come la verità, la giustizia e la memoria che non hanno confini e che vanno protetti dal passare del tempo e dai manipolatori della Storia.