Pannelli solari, auto elettriche, pale eoliche, batterie in cui salvare energia pulita. Tutte cose che ci parlano di un futuro sostenibile, di città più sane e respirabili, di una transizione ecologica che promette un giorno di consegnare alla storia il petrolio così come abbiamo provato a fare con il carbone. Abbandonare le fonti fossili in favore di quelle rinnovabili. Per farlo però servono altre materie prime, quelle necessarie per costruire le batterie, i pannelli, le turbine. Servono minerali e metalli di cui non sentiamo quasi mai parlare e che si trovano in Sud America, Africa e Asia: litio, cobalto, rame, nichel, grafite. Questo muove il mondo oggi e la transizione verde ha anche costi umani e ambientali. Ma lontani dai nostri occhi.
Davide Monteleone è un fotografo paziente, coltiva le sue idee e i suoi progetti per anni e non scatta mai in velocità e per istinto, prima studia, viaggia, raccoglie documenti, intervista e ascolta. E si fa tante domande. I suoi reportage sono molto di più che fotografie, sono investigazioni, narrazioni che rivelano domande essenziali sulla società contemporanea.
Conosco Davide e la bellezza dei suoi progetti di lungo periodo da molti anni e mi ha sempre colpito la sua pazienza tenace. La sua capacità di restare concentrato su un tema. Mentre i suoi colleghi saltavano da una parte all’altra del mondo, collezionando le storie del momento e cavalcando la cronaca, lui è rimasto per oltre dieci anni in Russia. Ha raccontato la guerra in Cecenia e la crescita del potere di Putin, ha attraversato da una parte all’altra quello che era lo spazio sovietico e su quel mondo ha pubblicato quattro libri. Per anni ha alternato questi reportage con il lavoro sulla cronaca: Libano, Libia, Primavere Arabe, l’inizio del conflitto ucraino (ormai dieci anni fa). Ma poi ha compreso che quello non era il suo passo, voleva lavorare su argomenti che non fossero archiviati la mattina dopo.
Due anni fa ha deciso che voleva capire quali sono i motori della transizione energetica, quali sono i costi e chi li paga. Così è partito per un viaggio in tre continenti, per raccontare storie di luoghi e di persone.
Per trovare il più grande giacimento di litio è andato in Cile, nel deserto di Atacama, un immenso altopiano sopra i 3mila metri d’altezza. Un luogo magico, il miglior posto del pianeta per vedere le stelle grazie al clima asciuttissimo – ci sono delle aree in cui non è caduta nemmeno una goccia di pioggia in centinaia di anni – che permette di avere un cielo straordinariamente terso.
Il litio viene estratto da un’acqua salmastra che viene pompata dal sottosuolo e lasciata ad evaporare in vasche grandi quanto 15 campi di calcio. Sono necessari 30mila litri di quest’acqua per produrre dieci kg di litio, un metallo indispensabile per produrre le batterie delle auto elettriche.
Ma siamo in un deserto, dove l’acqua in superficie non c’è, e per estrarre il litio ne vengono portati in superficie 2800 litro al minuto. Le comunità indigene Atacameno, che vivono in queste terre da secoli, sono sconvolte, non solo perché capiscono che non ci sarà più acqua per loro, ma anche perché vedono stravolto un ecosistema naturale in cui hanno sempre vissuto in equilibrio.
Sempre il Cile è il primo produttore al mondo di rame e la nazionalizzazione delle sue miniere fu il gesto più forte e simbolico della presidenza di Salvador Allende (e uno dei motivi del colpo di stato dell’11 settembre 1973 che mise fine all’esperimento socialista). Monteleone è andato a riscoprire una città utopica, Chuquicamata, costruita intorno a una miniera e trasformata in un esperimento sociale e comunitario. L’idea era quella di far vivere bene i minatori da cui dipendevano le sorti economiche della nazione.
Oggi è deserta e coperta da scarti di rame, l’ultimo abitante è andato via nel 2008. Sono rimaste le case, pagine ingiallite di archivio, album fotografici con i ritratti di chi ci aveva creduto e lo stadio.
Le miniere sottoterra non si sono fermate, anzi lavorano a ritmo continuo in modo automatizzato per estrarre quel rame di cui abbiamo sempre più bisogno (per produrre il rotore di una turbina eolica di media dimensione ne sono necessarie 30 tonnellate).
Il metallo, una volta estratto, viene compattato in lastre del peso di 200 kg e trasportarle in treno fino ai luoghi di spedizione. Lunghissimi convogli dal carico prezioso, tanto che ogni vagone trasporta rame per un valore di due milioni di dollari.
Per inseguire il nichel Davide è andato a Sulawesi, in Indonesia, dove un villaggio di pescatori circondato da foreste incontaminate si è trasformato in un agglomerato di impianti industriali diventando la capitale mondiale della produzione di questo minerale, elemento essenziale per costruire le batterie per le auto elettriche. Siamo a Morowali e qui per estrarre il nichel si deve disboscare la foresta (dove vive il pitone reticolato, un serpente gigantesco che mangia gli esseri umani) e poi basta sollevare il primo strato di terra. Ma una volta estratto il minerale si passa oltre lasciando un paesaggio lunare e invivibile.
Dall’Asia, Davide Monteleone è passato in Africa e quando è arrivato nella Repubblica democratica del Congo si è trovato davanti agli occhi la riedizione dell’inferno fotografato da Sabastiao Salgado nella miniera d’oro di Sierra Pelada in Brasile. Oggi il formicaio umano è la miniera a cielo aperto di Kolwezi in cui si estrae il cobalto, il nuovo petrolio.
Migliaia di uomini, coperti dalla testa ai piedi di polvere bianca, spaccano pietre muniti solo di una mazzetta di legno e pietra. Vivono in equilibrio precario sui fianchi franosi della miniera e si infilano in tunnel alti solo un metro e profondi sessanta. Riempiono sacchi di pietre da vendere ai mediatori cinesi che distribuiranno il cobalto, indispensabile per le batterie dei nostri smartphone, dei computer e delle auto, in tutto il mondo. La domanda è esplosa negli ultimi anni e in quest’area del Congo ci sono il sessanta per cento delle riserve mondiali di cobalto.
Alla fine del viaggio Davide ha messo insieme Critical Minerals—Geography of Energy, un progetto straordinario per la qualità dell’approfondimento, della ricerca, delle storie che ha raccolto e delle riflessioni che scatena. Questo progetto, che ha vinto la seconda edizione del Photo Grant di Deloitte, è una mostra (la potete vedere al Mudec a Milano fino al 15 dicembre 2024), un libro e un sito con tutti i materiali e i dati per scoprire l’altra faccia della nostra sostenibilità.
Il 29 novembre, alle 18, dialogherò con Davide al Mudec, in un incontro a ingresso libero.