Una ragazza di 22 anni che aspetta due gemelli e entra in travaglio in una notte di pioggia in un remoto villaggio africano; una donna venezuelana che ha finalmente trovato un tirocinio in un supermercato brasiliano e una casa dove abitare con i suoi tre figli; un contadino ugandese di quasi cinquant’anni che si è ammalato di tubercolosi e ha bisogno di una terapia quotidiana; una madre di nove figli scappata dalla guerra civile del Congo che sta imparando ad essere autosufficiente come agricoltrice.
Storie minime, vite anonime, salvate da quel gigantesco progetto immaginato da John Fitzgerald Kennedy che si chiamava USAID. L’agenzia federale americana per lo sviluppo internazionale, che con i suoi 40 miliardi di dollari di spesa annuale copre il 42 per cento della cooperazione nel mondo, è finita nel mirino di Elon Musk che ha deciso di smantellarla, congelando tutti i fondi e mandando a casa il personale.
Nei prossimi tre mesi migliaia di progetti di assistenza verranno vagliati per decidere cosa continuare a finanziare, ma il messaggio del presidente Trump è chiaro: non vogliamo più spendere i soldi dei contribuenti americani in giro per il mondo. E per convincere i suoi elettori che quella è la strada giusta scrive sui social di aver scoperto «Miliardi di dollari di frodi, sprechi e abusi».

In quell’oceano di fondi ci sono moltissimi progetti della cooperazione italiana, cose preziose che rischiano di chiudere. Ne ho raccolti quattro, portati avanti dal CUAMM Medici con l’Africa e da AVSI. Ecco quattro persone a cui gli Stati Uniti avevano regalato una nuova possibilità, che Trump e Musk hanno deciso di cancellare.

Claire, ha 22 anni e oggi è mamma di 2 gemelli di 5 mesi. «Il termine della gravidanza era previsto tra novembre e dicembre. Una notte di ottobre, però, mi sono svegliata perdendo moltissimo sangue. Quella notte pioveva così forte che le strade erano impraticabili. Al centro di salute e mi hanno detto che sarei dovuta andare immediatamente all’ospedale di Matany. Avevo un’emorragia. Senza auto, con tutta quella pioggia, l’unica possibilità era sperare che arrivasse in tempo l’ambulanza. Una volta in ospedale sono entrata d’urgenza in sala operatoria. Mi hanno detto: “Ti operiamo, sei pronta?”. Ho pensato “Va tutto bene, loro sono qui per salvare i miei bambini e anche me”. E così è stato. Io e mio marito però eravamo molto preoccupati perché non sapevamo come poter pagare il trasporto in ambulanza e le cure. Poi mi hanno spiegato cosa fa il Cuamm qui per le donne incinta e i loro bambini ed è davvero qualcosa di unico».
Attraverso i fondi USAID nel distretto di Kaabong, in Uganda, il Cuamm è impegnato a garantire la salute materno-infantile tra le popolazioni più emarginate e difficili da raggiungere, con operatori di comunità, medici, infermieri ed ostetriche.

Rachel è arrivata in Brasile nel 2018 insieme ai suoi 3 figli per sottoporsi a cure mediche impossibili da ottenere in Venezuela. Oggi, dopo un lungo e doloroso periodo di riabilitazione, stava provando a ricostruire un futuro per sé e i suoi figli. Da pochi mesi aveva iniziato una formazione e un tirocinio in una catena alimentare della grande distribuzione a Brasilia, che sono stati interrotti bruscamente a causa del blocco dei fondi americani. Dopo la formazione avrebbe voluto aprire una sua attività per diventare autonoma e integrarsi nel paese che l’ha accolta insieme ai suoi figli. Oggi non sa come farà a garantire una casa e del cibo ai suoi bambini. Rachel è solo una delle 15.000 persone sostenute attraverso il progetto in questi 5 anni e la cui vita e sogni sono stati interrotti a causa dell’ordine esecutivo del 20 gennaio che ha bloccato i finanziamenti per la cooperazione internazionale da parte del governo americano.
Rachel era sostenuta attraverso il progetto “Welcomed through Work” realizzato da AVSI con fondi del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per la Popolazione, i Rifugiati e le Migrazioni (PRM) e rivolto a migranti, rifugiati e indigeni venezuelani.

Peter 48 anni, vive nel villaggio di Lokopo, regione della Karamoja, a nord dell’Uganda. «Quando sono andato al centro di salute del mio villaggio stavo molto male. Avevo dolori al petto, alle articolazioni e poi tosse e vertigini. Mi hanno portato all’ospedale di Matany, dove mi hanno diagnosticato la tubercolosi. I medici mi hanno prescritto dei farmaci, e mi hanno spiegato che è importante seguire la terapia tutti i giorni altrimenti non funziona e ci vuole più tempo per guarire. Ora ho paura perché se non si riescono ad avere i medicinali al centro di salute temo di peggiorare. Vorrei stare meglio».
Peter è stato preso in cura nell’ambito dell’intervento che il Cuamm ha attivato – grazie ai fondi USAID – in 5 distretti della Karamoja meridionale per migliorare l’individuazione dei casi di tubercolosi e potenziare il trattamento così da contrastare la diffusione della malattia.

Florence, 42 anni e madre di nove figli, è scappata dalla Repubblica Democratica del Congo ed è arrivata in Uganda dopo giorni di cammino a piedi. Accolta in uno dei tanti campi profughi che sorgono al confine tra i due paesi Florence ha incontrato alcuni operatori di AVSI che l’hanno inserita nel programma “Graduating to Resilience”, realizzato con fondi USAID, per costruirsi una nuova vita. Grazie alla guida di un coach, Florence ha seguito corsi di alfabetizzazione finanziaria e agricoltura e con le competenze acquisite e il supporto economico ricevuto è riuscita a rilanciare la sua attività agricola, migliorando la propria vita e quella dei suoi figli, che hanno potuto frequentare la scuola e ricevere un’alimentazione migliore. Oggi, però, Florence vede minata la sua autosufficienza da poco raggiunta a causa del blocco dei finanziamenti da parte del governo americano e come lei anche le altre 58.000 persone sostenute con il progetto.
Il progetto di AVSI vuole accompagnare persone vulnerabili fuori dalla povertà estrema, attraverso una serie di corsi di formazione su nutrizione, igiene, genitorialità, gestione del risparmio, agricoltura e gestione d’impresa.